Responsabilità medica: la Cassazione amplia la tutela dei pazienti consentendo la specificazione dell’errore in corso di causa – Corte di Cassazione 2025

Il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 2025 rappresenta un significativo passo avanti nella tutela dei diritti dei pazienti che si ritengono danneggiati da prestazioni sanitarie inadeguate. Con questa pronuncia, la Suprema Corte ha chiarito che nel giudizio risarcitorio per colpa medica non costituisce inammissibile mutamento della domanda la circostanza che il paziente, nel corso del processo, specifichi o modifichi l’addebito di responsabilità, passando ad esempio dall’allegazione di un errore nell’esecuzione dell’intervento a quella di un’inadeguata assistenza post-operatoria.

Tale principio si fonda sul riconoscimento dell’inscindibilità delle diverse fasi del trattamento sanitario, che non possono essere artificiosamente separate ai fini dell’individuazione della responsabilità professionale, e sulla considerazione della limitata conoscenza tecnico-scientifica che caratterizza la posizione del paziente all’inizio del giudizio. La Corte ha infatti sottolineato l’inesigibilità dell’individuazione ex ante di specifici elementi tecnico-scientifici da parte del paziente danneggiato, il quale potrà acquisire tali elementi solo nel corso dell’istruttoria, in particolare all’esito della consulenza tecnica d’ufficio.

La decisione interviene nell’ambito di una controversia tra un paziente e un’azienda ospedaliera, relativa a presunte lesioni derivanti da un intervento chirurgico. Il caso è particolarmente emblematico poiché il giudice di primo grado aveva riconosciuto la responsabilità dell’azienda sanitaria per la gestione post-operatoria, mentre la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza ritenendo che vi fosse stata ultrapetizione, dal momento che la domanda originaria verteva esclusivamente sulla fase esecutiva dell’intervento. La Cassazione, cassando con rinvio la sentenza d’appello, ha stabilito che tale interpretazione restrittiva dell’oggetto della domanda risulta erronea e contrasta con i principi giurisprudenziali consolidati in materia.

La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato che, valorizzando la natura contrattuale della responsabilità sanitaria, riconosce ampi margini di elasticità nella specificazione delle condotte colpose nel corso del giudizio, facilitando così l’accesso alla tutela giurisdizionale da parte del paziente danneggiato. L’impostazione adottata dalla Suprema Corte riflette la consapevolezza della disparità conoscitiva che caratterizza il rapporto tra paziente e struttura sanitaria, e mira ad evitare che rigidi formalismi processuali possano precludere un effettivo accertamento della responsabilità medica.

Questo orientamento risulta particolarmente significativo nell’attuale contesto normativo, caratterizzato da un progressivo irrigidimento della disciplina della responsabilità sanitaria, e conferma l’importanza di un’interpretazione delle regole processuali che tenga conto delle peculiarità della materia e della necessità di garantire un equo bilanciamento tra le posizioni delle parti.

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Indice

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia prende avvio dall’azione giudiziaria promossa da un paziente nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti a trattamenti sanitari ritenuti errati, eseguiti in occasione di un intervento chirurgico subito in data 16 agosto 2012. Il paziente, assistito dall’avvocato Vincenzo Morriello, aveva convenuto in giudizio la struttura sanitaria dinanzi al Tribunale di Siena, sostenendo la responsabilità dell’ente per gli esiti negativi dell’intervento e chiedendo il ristoro sia dei danni patrimoniali che di quelli non patrimoniali.

Nel corso del giudizio di primo grado, l’Azienda Ospedaliera si era costituita contestando integralmente la fondatezza delle pretese avanzate dall’attore. Il Tribunale, al fine di accertare con precisione i profili di responsabilità eventualmente sussistenti, aveva disposto una consulenza tecnica d’ufficio che aveva evidenziato criticità nella gestione del paziente, sebbene localizzandole non tanto nella fase esecutiva dell’intervento quanto piuttosto nella successiva fase post-operatoria.

La CTU, in particolare, aveva accertato che il paziente aveva subito una lesione del plesso brachiale destro in conseguenza dell’intervento chirurgico. Tale lesione, secondo quanto emerso dalla consulenza, si era prodotta durante la procedura di cannulazione vascolare, rappresentando quindi una complicanza direttamente collegata alla tecnica chirurgica adottata.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Siena, con sentenza del 3 novembre 2018, aveva accolto la domanda attorea, condannando l’Azienda Ospedaliera al pagamento di un risarcimento pari a euro 201.072,94, oltre interessi. Il giudice di primo grado, in particolare, aveva fondato il proprio convincimento sugli elementi emersi dalla consulenza tecnica, ritenendo sussistente la responsabilità dell’ente convenuto per la non corretta gestione post-operatoria del paziente, che aveva determinato il consolidarsi della lesione nervosa subita durante l’intervento.

Avverso tale pronuncia, l’Azienda Ospedaliera aveva proposto appello principale, lamentando che il Tribunale fosse incorso in un vizio di ultrapetizione, avendo riconosciuto la responsabilità dell’ente non per l’errata esecuzione dell’intervento chirurgico, come originariamente dedotto dall’attore, ma per le modalità della gestione post-operatoria, profilo che, secondo la prospettazione dell’appellante, non sarebbe stato oggetto della domanda iniziale. Il paziente, dal canto suo, aveva proposto appello incidentale, contestando alcuni aspetti della quantificazione del danno operata dal giudice di primo grado.

La Corte d’Appello di Firenze, chiamata a pronunciarsi sui gravami, con sentenza del 1° giugno 2022, aveva accolto l’appello principale dell’Azienda Ospedaliera, ritenendo fondato il motivo relativo all’ultrapetizione. Secondo il giudice di secondo grado, infatti, il Tribunale avrebbe erroneamente esteso l’ambito della propria indagine oltre i confini tracciati dalla domanda introduttiva, attribuendo all’ente convenuto una responsabilità per profili (quelli attinenti alla gestione post-operatoria) che non sarebbero stati oggetto di specifica contestazione da parte dell’attore. La Corte territoriale, in particolare, aveva valorizzato la circostanza che nell’atto di citazione il paziente avesse specificamente individuato l’origine del pregiudizio nell’erronea esecuzione dell’intervento chirurgico, senza fare alcun riferimento a carenze nella successiva assistenza post-operatoria.

Di fronte a questa decisione, che aveva di fatto precluso al danneggiato la possibilità di ottenere il risarcimento per il pregiudizio subito, il paziente aveva proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di impugnazione. Con il primo motivo, il ricorrente aveva denunciato, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonché l’omesso esame di un fatto discusso e decisivo. In particolare, il paziente aveva evidenziato come dalla consulenza tecnica d’ufficio, così come dalla consulenza tecnica di parte, fosse emerso che la lesione del plesso brachiale destro da lui subita era conseguenza diretta della procedura di cannulazione e, quindi, della tecnica chirurgica adottata durante l’intervento. Il ricorrente aveva inoltre sviluppato argomentazioni in merito alla causalità probabilistica, alla possibilità di inserire critiche alla consulenza tecnica d’ufficio anche nella comparsa conclusionale, nonché alla modificabilità della domanda nel corso del giudizio.

Con il secondo motivo, il ricorrente aveva denunciato la violazione degli articoli 1218 e 1321 del codice civile, sostenendo che tra lui e l’Azienda Ospedaliera si fosse instaurato un rapporto contrattuale e che la relativa obbligazione non fosse stata correttamente adempiuta sia con riferimento all’intervento che alle fasi successive. Il paziente aveva sottolineato come, ai fini della responsabilità della struttura sanitaria, non rilevasse se il danno fosse derivato esclusivamente dal decorso post-operatorio o fosse stato originato da un errore nell’operazione, sussistendo in ogni caso l’obbligo dell’ente di assistere adeguatamente l’operato dopo l’intervento.

La controversia, così delineata, poneva quindi alla Suprema Corte un rilevante quesito in merito ai limiti della domanda giudiziale in materia di responsabilità sanitaria e alla possibilità per il paziente danneggiato di specificare, nel corso del giudizio, i profili di colpa addebitati al sanitario o alla struttura, alla luce degli elementi tecnici emersi dall’istruttoria.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La questione giuridica sottoposta all’attenzione della Suprema Corte si colloca all’intersezione tra la disciplina sostanziale della responsabilità sanitaria e i principi processuali in materia di domanda giudiziale e di correlazione tra il chiesto e il pronunciato. Per comprendere appieno la portata della decisione, è quindi necessario esaminare il quadro normativo di riferimento, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale.

Sul piano sostanziale, vengono in rilievo innanzitutto gli articoli 1218 e 1321 del codice civile, espressamente richiamati nel ricorso. L’articolo 1218 c.c. disciplina la responsabilità del debitore per inadempimento, stabilendo che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Tale disposizione costituisce il fondamento normativo della responsabilità contrattuale, che caratterizza il rapporto tra paziente e struttura sanitaria secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.

L’articolo 1321 c.c., dal canto suo, definisce il contratto come “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Con riferimento all’ambito sanitario, la giurisprudenza ha elaborato la figura del contratto di spedalità, che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria in virtù del semplice accesso alle prestazioni della struttura stessa, indipendentemente dalla conclusione di un accordo espresso. Da tale contratto derivano, per la struttura, obbligazioni di varia natura, non limitate alla prestazione principale dell’intervento medico, ma estese a una serie di obblighi accessori, tra cui quelli relativi all’assistenza post-operatoria e alla vigilanza sul decorso della malattia.

Sul piano processuale, assumono rilievo centrale gli articoli 99 e 112 del codice di procedura civile, che consacrano rispettivamente il principio della domanda e il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. In particolare, l’articolo 112 c.p.c. stabilisce che “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”. La violazione di tale disposizione dà luogo al vizio di ultrapetizione o extrapetizione, che si configura quando il giudice pronuncia su domande o eccezioni non formulate dalle parti, ovvero attribuisce un bene diverso da quello richiesto.

Il tema dei limiti della domanda giudiziale si intreccia, nel contesto della responsabilità sanitaria, con quello dell’individuazione del fatto costitutivo del diritto al risarcimento. Secondo i principi generali, il fatto costitutivo di un diritto è l’accadimento materiale o giuridico dal quale scaturisce la pretesa azionata in giudizio. Nel caso della responsabilità contrattuale, il fatto costitutivo è rappresentato dall’inadempimento dell’obbligazione, che si sostanzia nella mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha progressivamente elaborato un orientamento secondo cui, in materia di responsabilità sanitaria, il fatto costitutivo del diritto al risarcimento deve essere identificato non tanto nelle specifiche modalità della condotta colposa, quanto piuttosto nell’evento dannoso conseguente alla prestazione sanitaria nel suo complesso. Tale impostazione tiene conto della specifica natura dell’obbligazione sanitaria, caratterizzata da una intrinseca complessità tecnica che rende difficile per il paziente l’esatta individuazione, sin dall’inizio del giudizio, dei profili di colpa addebitabili al sanitario o alla struttura.

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