Nullità clausole bancarie e ricalcolo del saldo: sentenza Tribunale Reggio Calabria 2024

Nullità clausole bancarie e ricalcolo del saldo: sentenza Tribunale Reggio Calabria 2024

Nel panorama del contenzioso bancario, una recente sentenza del Tribunale di Reggio Calabria del 2024 ha riacceso il dibattito sulla validità delle clausole contrattuali nei conti correnti. Il caso in esame solleva interrogativi cruciali: fino a che punto le banche possono imporre condizioni unilaterali? Quali sono i limiti della tutela del correntista di fronte a pratiche potenzialmente lesive? La decisione del Tribunale calabrese offre spunti di riflessione significativi, delineando un percorso interpretativo che potrebbe influenzare future controversie nel settore. Addentriamoci nell’analisi di questa pronuncia, che promette di ridefinire gli equilibri nel rapporto banca-cliente.

INDICE

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda giudiziaria in esame trae origine da un’azione di ripetizione di indebito promossa da un correntista nei confronti di un istituto bancario. Al centro della controversia si colloca un rapporto di conto corrente, instaurato il 29 gennaio 1991 e conclusosi il 20 ottobre 2015 per volontà unilaterale della banca.

Il correntista, titolare di una ditta individuale, contestava la legittimità di diverse clausole contrattuali e pratiche bancarie applicate nel corso del rapporto. In particolare, l’attore lamentava:

  1. L’invalidità della clausola n. 7 del contratto, relativa alla determinazione del tasso di interesse debitore mediante rinvio agli usi su piazza;
  2. L’illegittima applicazione dell’anatocismo, ovvero la capitalizzazione degli interessi, con periodicità differente per gli interessi attivi e passivi;
  3. L’addebito non pattuito di commissioni di massimo scoperto (CMS) e altre voci di costo non espressamente concordate.

A seguito di queste contestazioni, l’attore richiedeva il ricalcolo integrale del saldo del conto corrente, epurandolo dagli addebiti ritenuti illegittimi. Sulla base di una perizia di parte, il correntista quantificava un credito a proprio favore di € 417.833,29, in netto contrasto con il saldo finale a debito di € 60.836,05 comunicato dalla banca al momento della chiusura del rapporto.

Prima di adire le vie legali, il correntista aveva tentato una risoluzione stragiudiziale della controversia, contestando la pretesa creditoria della banca con una lettera datata 17 maggio 2016. In tale missiva, richiedeva un ricalcolo del rapporto dare-avere tra le parti, senza tuttavia ricevere riscontro dall’istituto di credito.

Successivamente, in ottemperanza alle disposizioni del D.Lgs. 28/2010, l’attore aveva esperito il tentativo obbligatorio di mediazione. In questa fase, la banca aveva inizialmente richiesto un differimento del primo incontro, manifestando l’intenzione di aderire alla procedura. Tuttavia, in un secondo momento, l’istituto comunicava la propria decisione di non partecipare al procedimento di mediazione.

Di fronte all’impossibilità di giungere a una composizione bonaria della controversia, il correntista si vedeva costretto a ricorrere all’autorità giudiziaria. Con atto di citazione notificato il 28 gennaio 2020, e successivamente rinnovato il 5 giugno 2020, l’attore conveniva in giudizio la banca dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria.

La domanda principale verteva sulla condanna dell’istituto di credito al pagamento della somma di € 417.833,29, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. Tale importo rappresentava il saldo ricalcolato a credito del correntista, previa dichiarazione di nullità delle clausole relative alla pattuizione degli interessi, all’anatocismo e alla commissione di massimo scoperto, nonché all’accertamento dell’applicazione di interessi usurari.

In via subordinata, l’attore chiedeva la condanna della banca al pagamento della minor somma risultante dagli accertamenti istruttori. Inoltre, veniva avanzata una richiesta di risarcimento del maggior danno causato dall’omessa adesione della banca alla procedura di mediazione.

La banca si costituiva in giudizio il 17 novembre 2020, contestando integralmente le pretese attoree e chiedendo il rigetto della domanda. L’istituto di credito sosteneva la legittimità delle clausole contrattuali e degli addebiti applicati, invocando la validità delle pattuizioni all’epoca della stipula del contratto e l’inapplicabilità retroattiva della normativa successivamente entrata in vigore.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il caso in esame si colloca in un complesso quadro normativo e giurisprudenziale, che ha visto una significativa evoluzione nel corso degli anni. Per comprendere appieno la decisione del Tribunale di Reggio Calabria, è necessario analizzare le principali fonti normative e i precedenti giurisprudenziali rilevanti.

  1. Determinazione del tasso di interesse

La questione della validità della clausola che determina il tasso di interesse mediante rinvio agli usi su piazza trova il suo fondamento normativo nell’art. 1284, comma 3, del Codice Civile. Tale norma stabilisce che gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, pena la loro nullità.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte affrontato la questione, consolidando un orientamento che considera insufficientemente determinate le clausole che si limitano a rinviare alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza. In particolare, la Cassazione, con la sentenza n. 4490/2002, ha chiarito che il requisito della forma scritta può essere soddisfatto anche per relationem, purché il richiamo avvenga a criteri prestabiliti ed elementi oggettivamente individuabili. Tuttavia, un generico rinvio agli usi su piazza non soddisfa tale requisito di determinatezza.

Questo principio è stato ribadito in numerose pronunce successive, tra cui le sentenze della Cassazione n. 10657/1996, n. 5675/2001 e, più recentemente, n. 22179/2015.

  1. Anatocismo bancario

La questione dell’anatocismo bancario ha una storia giurisprudenziale e normativa particolarmente complessa. Il punto di svolta è rappresentato dalle sentenze della Cassazione a Sezioni Unite del 2004 (n. 21095) che hanno dichiarato la nullità delle clausole anatocistiche contenute nei contratti bancari.

Successivamente, il legislatore è intervenuto con il D.Lgs. 342/1999, che ha modificato l’art. 120 del Testo Unico Bancario (TUB), introducendo la possibilità di capitalizzazione degli interessi purché con pari periodicità per gli interessi debitori e creditori. L’art. 25, comma 3, del medesimo decreto tentava di salvare le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000.

Tuttavia, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000, ha dichiarato l’incostituzionalità di questa norma, rendendo di fatto illegittima l’applicazione dell’anatocismo per tutto il periodo antecedente al 2000.

Per il periodo successivo, la legittimità dell’anatocismo è subordinata al rispetto delle condizioni stabilite dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000. In particolare, l’art. 7 della delibera prevedeva la possibilità di adeguare i contratti preesistenti, ma richiedeva l’approvazione specifica per iscritto da parte del cliente in caso di modifiche peggiorative.

La Cassazione, con la recente sentenza n. 9140/2020, ha chiarito che, in ragione della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del D.Lgs. 342/1999, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR sono radicalmente nulle. Di conseguenza, per introdurre validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi in tali contratti, è necessaria un’espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera.

  1. Commissione di Massimo Scoperto (CMS) e altre spese

La legittimità dell’applicazione della Commissione di Massimo Scoperto e di altre spese non espressamente pattuite trova il suo fondamento nell’art. 117 del TUB, che richiede la forma scritta per i contratti bancari e la specifica approvazione da parte del cliente delle condizioni economiche applicate.

La giurisprudenza ha più volte ribadito che l’addebito di somme a qualsiasi titolo deve trovare giustificazione in una specifica pattuizione contrattuale. In assenza di tale pattuizione, gli addebiti devono considerarsi indebiti e, quindi, ripetibili ai sensi dell’art. 2033 del Codice Civile.

  1. Mediazione obbligatoria

Il D.Lgs. 28/2010 ha introdotto l’obbligo del tentativo di mediazione come condizione di procedibilità per diverse tipologie di controversie, tra cui quelle in materia bancaria. L’art. 8, comma 4-bis, del decreto prevede che il giudice possa condannare la parte che non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Questo quadro normativo e giurisprudenziale costituisce la base sulla quale il Tribunale di Reggio Calabria ha fondato la propria decisione, applicando i principi consolidati alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Reggio Calabria, nella sentenza in esame, ha accolto in larga parte le istanze del correntista, riconoscendo la fondatezza delle sue contestazioni riguardo alla validità delle clausole contrattuali e alle pratiche bancarie applicate nel corso del rapporto.

  1. Nullità della clausola di determinazione del tasso di interesse

Il giudice ha dichiarato la nullità della clausola contrattuale (art. 7, comma 3) che determinava il tasso di interesse debitore mediante rinvio agli usi su piazza. Questa decisione si basa sul principio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui una simile pattuizione non soddisfa il requisito di determinatezza richiesto dall’art. 1284, comma 3, del Codice Civile per gli interessi ultralegali.

Il Tribunale ha rilevato che, nonostante il contratto fosse stato stipulato prima dell’entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria (L. 154/1992), la clausola dovesse comunque ritenersi nulla ai sensi degli artt. 1346 e 1418, comma 2, del Codice Civile per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto.

Conseguentemente, il giudice ha disposto la sostituzione del tasso di interesse applicato con il saggio di interesse legale, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, del Codice Civile. È importante notare che, data la data di stipula del contratto (antecedente alla L. 154/1992), il Tribunale ha escluso l’applicazione dei tassi sostitutivi previsti dall’art. 117 del TUB, optando per l’applicazione del tasso legale anche per il periodo successivo al 9 luglio 1992.

  1. Illegittimità dell’anatocismo

Il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità dell’anatocismo applicato dalla banca per tutto il corso del rapporto. Questa decisione si fonda su due ordini di motivi:

a) Per il periodo antecedente al 2000, l’anatocismo è stato considerato tout court illegittimo, in linea con la giurisprudenza consolidata e alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000.

b) Per il periodo successivo al 2000, il giudice ha rilevato che la banca non ha dimostrato di essersi adeguata alla delibera CICR del 9 febbraio 2000, non avendo fatto sottoscrivere al correntista una nuova clausola anatocistica conforme alle nuove disposizioni.

Il Tribunale ha aderito all’orientamento giurisprudenziale che considera le nuove clausole anatocistiche sempre peggiorative rispetto alle precedenti (nulle), richiedendo quindi una specifica approvazione scritta da parte del cliente.

  1. Indebita applicazione di CMS e altre spese non pattuite

Il giudice ha ritenuto indebita l’applicazione della Commissione di Massimo Scoperto e di ogni altra somma addebitata dalla banca per voci e commissioni non espressamente pattuite in contratto. L’unica eccezione è stata fatta per imposte e tasse, dovute ex lege.

Questa decisione si basa sul principio secondo cui l’omessa pattuizione esclude che vi sia stato un accordo contrattuale tra le parti che ne consentisse l’applicazione.

  1. Ricalcolo del saldo

Sulla base di queste premesse, il Tribunale ha disposto il ricalcolo integrale del saldo del conto corrente, affidandosi alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (CTU). Il CTU ha fornito diversi saldi ricalcolati, e il giudice ha optato per quello che parte dal primo estratto conto coincidente con l’apertura del rapporto e si conclude con l’ultimo estratto conto a chiusura del rapporto.

Il ricalcolo ha comportato l’applicazione di interessi legali sia per gli interessi creditori (al netto della ritenuta fiscale) sia per quelli debitori, l’esclusione di qualsiasi forma di anatocismo, l’eliminazione della CMS e di qualsiasi altra spesa non pattuita, fatte salve imposte e tasse.

Il risultato finale del ricalcolo ha determinato un credito in favore del correntista di € 341.012,59, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo.

  1. Aspetti procedurali e spese di lite

Il Tribunale ha riconosciuto che l’attore ha pienamente assolto all’onere probatorio ex art. 2697 del Codice Civile, avendo prodotto la serie quasi completa degli estratti conto e ulteriore documentazione contabile che ha consentito di ricostruire le operazioni effettuate nei brevissimi periodi non coperti dagli estratti conto.

Il giudice ha condannato la banca al pagamento delle spese di lite e delle spese di CTU. Inoltre, in applicazione dell’art. 8, comma 4-bis, del D.Lgs. 28/2010, ha condannato la banca a versare in favore dell’Erario una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio, stante la sua ingiustificata mancata partecipazione alla procedura di mediazione.

  1. Rigetto della domanda risarcitoria

Il Tribunale ha invece rigettato la domanda risarcitoria genericamente proposta da parte attrice, connessa all’omessa partecipazione della banca alla procedura di mediazione. Il giudice ha motivato questa decisione rilevando che si trattava di una domanda totalmente priva di allegazioni specifiche.

Analisi critica della decisione

La sentenza del Tribunale di Reggio Calabria si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia di contenzioso bancario, offrendo tuttavia alcuni spunti di riflessione interessanti.

In primo luogo, la decisione conferma l’approccio rigoroso dei tribunali nei confronti delle clausole contrattuali bancarie, in particolare quelle relative alla determinazione dei tassi di interesse e all’anatocismo. Il giudice ha applicato in modo puntuale i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, dimostrando una particolare attenzione alla tutela del correntista di fronte a pratiche potenzialmente lesive.

Di particolare rilievo è l’interpretazione fornita in merito all’applicabilità della normativa sopravvenuta. Il Tribunale ha infatti escluso l’applicazione retroattiva dei tassi sostitutivi previsti dalla legge sulla trasparenza bancaria e dal TUB, optando per l’applicazione del tasso di interesse legale anche per il periodo successivo all’entrata in vigore di tali norme. Questa scelta, sebbene in linea con alcuni precedenti giurisprudenziali, potrebbe essere oggetto di dibattito, considerando l’evoluzione normativa in materia di trasparenza bancaria.

Per quanto riguarda l’anatocismo, la sentenza ribadisce l’orientamento che considera le nuove clausole anatocistiche sempre peggiorative rispetto alle precedenti (nulle), richiedendo quindi una specifica approvazione scritta da parte del cliente. Questa interpretazione, sebbene finalizzata a tutelare il correntista, potrebbe essere considerata eccessivamente rigida, non tenendo conto delle possibili situazioni in cui la nuova clausola potrebbe effettivamente risultare più favorevole al cliente.

Un aspetto innovativo della sentenza riguarda l’approccio adottato in merito alla ricostruzione del saldo del conto corrente. Il giudice ha dimostrato flessibilità nell’accettare, oltre agli estratti conto, anche altre forme di documentazione contabile per ricostruire l’andamento del rapporto. Questa apertura potrebbe rappresentare un importante precedente per futuri contenziosi, soprattutto in casi in cui la documentazione bancaria risulti incompleta.

Infine, la condanna della banca al pagamento di una somma corrispondente al contributo unificato per la mancata partecipazione alla mediazione rappresenta un segnale forte dell’importanza attribuita dal tribunale agli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

In conclusione, la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria offre un’interpretazione rigorosa e favorevole al correntista delle norme in materia di contratti bancari, confermando la tendenza della giurisprudenza a un approccio garantista nei confronti della parte considerata più debole nel rapporto contrattuale. Tuttavia, alcune delle interpretazioni fornite potrebbero essere oggetto di ulteriore dibattito e confronto in sede di eventuale appello o in futuri contenziosi analoghi.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura dell’estratto della sentenza.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

Orbene, la domanda risulta fondata, seppur il credito vantato dal ricorrente risulti inferiore a quello reclamato nell’atto introduttivo del giudizio, alla luce degli accertamenti peritali espletati in corso di causa.

In primo luogo, risulta fondata la doglianza afferente all’indeterminatezza del tasso di interesse debitore pattuito in contratto con la clausola di rinvio agli usi su piazza (art. 7 c. 3) nonché quella afferente all’illegittima applicazione dell’anatocismo pattuito all’art. 7 c. 1 e 2 del contratto con diversa periodicità per gli interessi attivi e passivi.

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