Morte del paziente per errore medico: la distinzione tra danno da perdita anticipata della vita e perdita di chance secondo il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (2024)

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha emesso una significativa pronuncia che segna un importante punto di svolta nella qualificazione dei danni risarcibili in caso di morte del paziente per responsabilità medica. La sentenza affronta con particolare chiarezza la complessa distinzione tra il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance di sopravvivenza, fornendo criteri guida per la loro corretta identificazione e liquidazione.

Il caso esaminato riguardava il decesso di una paziente ottantaduenne, avvenuto a seguito di una serie di errori diagnostici e terapeutici commessi sia dal personale del servizio di emergenza territoriale che dalla struttura ospedaliera. La pronuncia assume particolare rilevanza perché, oltre a riconoscere la responsabilità solidale delle strutture sanitarie coinvolte, stabilisce principi fondamentali sulla tendenziale incompatibilità tra le due tipologie di danno menzionate.

L’importanza della decisione risiede soprattutto nella sua capacità di fornire criteri chiari per distinguere quando sia configurabile un danno da perdita anticipata della vita, risarcibile iure proprio ai congiunti, e quando invece si possa parlare di perdita di chance di sopravvivenza, sottolineando come quest’ultima sia configurabile solo in presenza di una “insanabile incertezza” sull’efficacia causale della condotta medica rispetto all’evento morte.

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INDICE

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda processuale trae origine da eventi verificatisi nel gennaio 2015. Una donna di 82 anni manifestava un grave quadro clinico caratterizzato da diarrea profusa e febbre, che induceva i familiari a richiedere l’intervento del servizio di emergenza territoriale. Il primo intervento avveniva alle ore 8:00 dell’8 gennaio, quando il personale sanitario, dopo una valutazione che si sarebbe poi rivelata gravemente superficiale, si limitava a prescrivere una terapia farmacologica generica, non ritenendo necessario il trasporto in ospedale.

La situazione precipitava nel corso della giornata, tanto che alle ore 19:00 si rendeva necessario un secondo intervento del 118. Nonostante il palese peggioramento delle condizioni cliniche della paziente, anche in questa occasione i sanitari non disponevano il ricovero, rimettendo la donna alle cure del medico di base. Una decisione che si sarebbe rivelata fatale.

Il giorno successivo, di fronte all’ulteriore e drammatico aggravamento del quadro clinico, i familiari si vedevano costretti a trasportare autonomamente la paziente al Presidio Ospedaliero. La diagnosi di ingresso evidenziava una grave condizione di “Acidosi metabolica con iperkaliemia con stato ansartico“, che rendeva necessario l’immediato ricovero nel reparto di Geriatria. Durante la degenza, protrattasi per tre giorni, la paziente veniva sottoposta a numerosi esami diagnostici, tra cui esami ematochimici, elettrocardiogrammi seriati ed emogasanalisi arteriosi seriati, nonché a terapia endovena. Tuttavia, nonostante gli interventi medici, non si registrava alcun miglioramento significativo delle condizioni cliniche.

Il 12 gennaio 2015 sopraggiungeva il decesso, con diagnosi finale di “insufficienza renale acuta e Vasculopatia cerebrale cronica”. Una morte che, secondo quanto emerso nel corso del giudizio, sarebbe stata evitabile in presenza di un tempestivo e corretto intervento medico.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di responsabilità medica ha subito una significativa evoluzione negli ultimi anni, particolarmente in relazione alla qualificazione e liquidazione dei danni nel caso di morte del paziente.

Il contratto di spedalità rappresenta il fondamento della responsabilità della struttura sanitaria. Come ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 9556/2002), si tratta di un contratto atipico che si perfeziona con la sola accettazione del paziente e comporta una molteplicità di obblighi: dalla prestazione di cure mediche, alla predisposizione di personale qualificato, fino alla messa a disposizione di attrezzature adeguate. Ne consegue una responsabilità di natura contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c., che si estende anche all’operato dei medici dipendenti secondo il principio della responsabilità per fatto degli ausiliari ex art. 1228 c.c..

Di fondamentale importanza è l’evoluzione giurisprudenziale sulla distinzione tra le diverse tipologie di danno risarcibile in caso di morte del paziente. Le recenti sentenze della Cassazione nn. 35998/2023 e 26851/2023 hanno introdotto criteri innovativi per distinguere il danno da perdita anticipata della vita dal danno da perdita di chance. Questa distinzione si basa essenzialmente sul grado di certezza circa l’efficacia causale della condotta medica rispetto all’evento morte.

Particolare rilievo assume anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 15350/2015 che ha definitivamente escluso la risarcibilità del danno tanatologico, confermando l’orientamento secondo cui il danno da perdita della vita non è configurabile come danno iure hereditatis, non essendo il diritto alla vita suscettibile di tutela risarcitoria in favore del soggetto che muore.

La Suprema Corte è poi intervenuta con la sentenza n. 10579/2021 per superare il tradizionale metodo “a forbice” nella liquidazione del danno da perdita parentale, introducendo un sistema più articolato basato su parametri multipli che tengono conto di diversi fattori, tra cui l’età della vittima, l’età del superstite e l’intensità del legame familiare.

In questo contesto si inserisce la recente sentenza n. 26851/2023 che ha ulteriormente chiarito come il danno da perdita anticipata della vita e il danno da perdita di chance siano tendenzialmente incompatibili, potendo coesistere solo in casi eccezionali quando sia scientificamente accertabile una concreta possibilità di sopravvivenza ulteriore rispetto al tempo di vita già determinato come perduto.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha affrontato il caso con un’analisi particolarmente approfondita, sia sotto il profilo della responsabilità che della qualificazione dei danni risarcibili.

In primo luogo, è stata accertata la responsabilità solidale delle strutture sanitarie sulla base di una dettagliata consulenza tecnica d’ufficio che ha evidenziato una serie di gravi negligenze. Il personale del servizio di emergenza territoriale aveva commesso errori macroscopici: una valutazione anamnestica gravemente insufficiente, l’omessa rilevazione di parametri vitali fondamentali e, soprattutto, la mancata disposizione del ricovero nonostante i chiari segni di gravità del quadro clinico. Parimenti grave è stata ritenuta la condotta della struttura ospedaliera, che non aveva riconosciuto né trattato adeguatamente la condizione di insufficienza cardiocircolatoria della paziente.

Ma l’aspetto più innovativo della sentenza riguarda la qualificazione del danno. Il Tribunale ha operato una netta distinzione tra diverse ipotesi:

  1. Quando sia certo che la condotta medica ha causato direttamente la morte del paziente (come nel caso in esame), si configura un danno diretto che determina il risarcimento del danno biologico e morale iure hereditatis, nonché del danno da perdita del rapporto parentale iure proprio.
  2. Quando invece la morte si sarebbe comunque verificata per la patologia di base, ma la condotta colposa ha determinato un’anticipazione del decesso, si configura il danno da perdita anticipata della vita, risarcibile iure proprio ai congiunti.
  3. Solo in presenza di una “insanabile incertezza” sull’efficacia causale della condotta rispetto all’evento morte può configurarsi il danno da perdita di chance di sopravvivenza.

Nel caso specifico, essendo emerso che l’errore diagnostico-terapeutico aveva causato direttamente la morte della paziente, che in sua assenza sarebbe sopravvissuta, il Tribunale ha escluso la configurabilità del danno da perdita di chance. Come precisato in sentenza, infatti, le due tipologie di danno sono tendenzialmente incompatibili, poiché quando vi è certezza che la condotta medica ha provocato la morte anticipata del paziente, questo evento diviene assorbente rispetto a qualsiasi considerazione sulla risarcibilità di chance future.

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