Modello Ricorso Legge Pinto su procedura fallimentare

Il presente modello di ricorso ex Lege 89/2001 per equa riparazione in caso di irragionevole durata del processo, è frutto dell’esperienza pluriennale del nostro team di avvocati specializzati.

Il modello allegato, costantemente aggiornato con le più recenti pronunce giurisprudenziali e modifiche normative, rappresenta uno strumento indispensabile per tutti i professionisti che desiderano offrire ai propri clienti un servizio di altissimo livello nella predisposizione di ricorsi volti ad ottenere un’equa riparazione del danno subito a causa dell’eccessiva durata di un procedimento giudiziario.

Il modello è strutturato in maniera chiara ed esaustiva, con sezioni dettagliate e guide pratiche per una corretta personalizzazione e compilazione del testo. Ogni parte del ricorso è supportata da solidi riferimenti normativi e giurisprudenziali, garantendo un risultato finale di eccellente qualità.


ECC.MA CORTE D’APPELLO DI [CITTÀ]

RICORSO EX LEGE N. 89/2001 E SS. MM.

Per: sig. [NOME COGNOME] (C.F. [CODICE FISCALE]), nato a [LUOGO] il [DATA] e residente in [INDIRIZZO], elettivamente domiciliato in [CITTÀ] alla Via [INDIRIZZO] presso lo studio dell’Avv. [NOME COGNOME] (C.F. [CODICE FISCALE]) che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale alle liti rilasciata su foglio cartaceo separato, da intendersi, ai sensi dell’art. 83, terzo comma, c.p.c., apposta in calce al presente atto. Con dichiarazione di voler ricevere avvisi, comunicazioni e notificazioni all’indirizzo pec [PEC AVVOCATO] presso il quale elegge domicilio digitale ovvero al seguente n. di fax [NUMERO FAX]

– ricorrente –

CONTRO

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro legale rappr. p.t., domiciliato ex lege in [CITTÀ] alla Via [INDIRIZZO], presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di [CITTÀ]

– resistente –

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FATTO E SVOLGIMENTO DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE

I. – TRIBUNALE DI [CITTÀ] – SEZIONE FALLIMENTARE – PROCEDURA FALLIMENTARE N. [NUMERO]/[ANNO]: durata complessiva: [X] anni e [Y] mesi, calcolati dal deposito in Cancelleria dell’istanza di fallimento ([DATA]) alla data di pubblicazione del decreto di chiusura del fallimento ([DATA])

I.I – Con istanza di fallimento del [DATA], [NOME CREDITORE ISTANTE], in persona del legale rappr. p.t., chiedeva al Tribunale di [CITTÀ] dichiararsi il fallimento del sig. [NOME COGNOME], titolare dell’omonima impresa individuale, con fissazione d’urgenza dell’udienza di ascolto del fallendo, per i motivi e le causali di cui all’atto introduttivo, da intendersi qui integralmente trascritti e riportati (all. 1).

Sulla scorta di quanto sopra, il Tribunale di [CITTÀ] – Sezione Fallimentare, con sentenza del [DATA] – R.F. n. [NUMERO]/[ANNO] (all. 2), riunito in Camera di Consiglio, dichiarava il fallimento di [NOME COGNOME], nato a [LUOGO] il [DATA], ivi residente – [INDIRIZZO], già titolare della ditta individuale con sede in [CITTÀ], [INDIRIZZO], con attività di [DESCRIZIONE ATTIVITÀ]; nominava Giudice Delegato il Dott. [NOME] e curatore l’Avv. [NOME]; ordinava al fallito di depositare in Cancelleria, entro 24 ore, il bilancio e le scritture contabili; assegnava ai creditori e ai terzi che vantavano diritti reali su cose in possesso del fallito, il termine di giorni 30 per il deposito in Cancelleria delle relative domande; fissava l’udienza del [DATA] per l’adunanza dei creditori nell’ufficio del Giudice Delegato per l’esame dello stato passivo.

I.II – Seguiva l’intera procedura fallimentare di cui è stata richiesta copia autentica di tutti i verbali e principali atti di causa (all. 3). [Se pertinente: Nonostante gli sforzi profusi da parte ricorrente, dalla Cancelleria è stata ottenuta solo una documentazione parziale, verosimilmente a causa della notevole durata della procedura, protrattasi per quasi [X] anni.]

[Ricostruire cronologicamente i principali eventi della procedura, ad esempio:]

All’udienza del [DATA], il Giudice Delegato dichiarava chiusa la verifica dello stato passivo e nominava il Comitato dei Creditori.

In data [DATA] veniva emesso il decreto di esecutorietà dello stato passivo (all. 4).

Nel corso della procedura, la Curatela ha instaurato due giudizi paralleli: [DESCRIVERE BREVEMENTE I GIUDIZI E I LORO ESITI].

All’udienza del [DATA], il Curatore riferiva al G.D. che era pendente il giudizio di appello promosso da [NOMI] nei confronti della Curatela fallimentare, avverso la sentenza n. [NUMERO]/[ANNO].

[INSERIRE ALTRE UDIENZE E EVENTI RILEVANTI]

I.III – Infine, il Fallimento “[NOME FALLITO]” veniva dichiarato chiuso con provvedimento del Tribunale di [CITTÀ] – Sezione Fallimentare del [DATA], pubblicato il [DATA] (all. 5) e notificato al fallito in data [DATA] (all. 6).

Stante la mancata proposizione del reclamo, nei termini di legge, il Tribunale di [CITTÀ] – Sezione Fallimentare, in data [DATA], dichiarava la definitività del decreto di chiusura del Fallimento [NOME FALLITO] (all. 7).

[Se pertinente: Qualora l’Ecc.ma Corte d’Appello adita ritenesse necessario disporre di un quadro informativo più esaustivo ai fini di una compiuta valutazione della fattispecie, questa difesa rimette al Suo prudente apprezzamento l’opportunità di ordinare alla Cancelleria competente il deposito dell’intero fascicolo cartaceo del fallimento ovvero l’acquisizione di una relazione integrativa da parte degli Organi della procedura.]

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IN FATTO E IN DIRITTO

I. – VIOLAZIONE DEL TERMINE DI RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO. VIOLAZIONE DELL’ART. 111, II COMMA, COST. – VIOLAZIONE DELL’ART. 6, PAR. 1, CEDU – VIOLAZIONE DELLA LEGGE N. 89/2001 E SS.MM.

I.I – Nel caso di specie, è palese la violazione del principio della ragionevole durata del processo riguardante la procedura fallimentare che ha interessato il sig. [NOME COGNOME]. L’irragionevole protrarsi del procedimento ha comportato per il ricorrente un lunghissimo periodo di limitazione dei suoi diritti personali e patrimoniali, con evidenti ripercussioni negative sulla sua sfera giuridica ed esistenziale.

Il principio della ragionevole durata del processo è solennemente riconosciuto nel nostro ordinamento dall’art. 111, secondo comma, Costituzione: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata“.

In ambito europeo, l’art. 6, Par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ratificata in Italia con L. n. 848/1955, prevede che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.

La ratio della legge Pinto è proprio quella di fornire una tutela effettiva al diritto alla ragionevole durata del processo, in linea con i principi costituzionali e convenzionali sopra richiamati.

Tale diritto trova piena applicazione anche con riferimento alle procedure fallimentari, come statuito da consolidata giurisprudenza della Suprema Corte: “La disciplina dell’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo trova applicazione anche nel caso in cui il ritardo lamentato si riferisca al procedimento esecutivo concorsuale cui dà vita la dichiarazione di fallimento, ed anche in favore del fallito, il quale, in quanto parte del processo fallimentare, è titolare del diritto alla ragionevole durata di esso” (Cass. civ., Sez. II, 14 maggio 2013, n. 13605).

In particolare, tale principio di diritto era già stato riconosciuto nelle note sentenze della Cassazione n. 17261/2002 e n. 12807/2003 che avevano annoverato il fallito tra i titolari del diritto alla ragionevole durata del procedimento fallimentare, in quanto la procedura “riguarda lui prima e più di chiunque altro“. Ciò in base al rilievo che il fallito gode di numerose tutele nell’ambito del procedimento fallimentare, a partire dal suo “diritto alla preventiva audizione” previsto dall’art. 15 della Legge Fallimentare, oltre al fatto che “molteplici sono le norme che prevedono o presuppongono la possibilità di intervento e di interlocuzione del fallito” nel corso del processo concorsuale.

Un diritto così forte che è stato riconosciuto anche in caso di contumacia del fallito, come solennemente statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione: “L’indennizzo per violazione della durata ragionevole del processo, previsto dall’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 compete anche a chi non si è costituito (o per il tempo in cui non si è costituito), poiché comunque ‘il contumace è parte del giudizio’” (Cass. civ., Sez. Unite, 14/01/2014, n. 585).

I.II – Per quanto concerne la nozione di “termine ragionevole“, occorre richiamare l’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001, come modificato dalla Legge di Stabilità 2016, secondo cui si considera rispettato il termine ragionevole qualora il processo non ecceda la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno nel giudizio di legittimità.

Per quanto attiene, invece, alle procedure fallimentari, rileva il consolidato orientamento della Suprema Corte che, con la sentenza n. 10233 del 19 maggio 2015, ha statuito che la durata massima ragionevole della procedura fallimentare deve essere fissata in 5 anni, prorogabili a 7 anni nel caso in cui il procedimento si presenti di notevole complessità: “… questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 8468 del 2012) che la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso“. Tale principio è stato da ultimo ribadito con la sentenza n. 31274/2022, secondo cui: “la durata delle procedure fallimentari notevolmente complesse – in ragione del numero dei creditori, della particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, della proliferazione di giudizi connessi o della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti – non può comunque superare la durata complessiva di sette anni“.

Nel caso che ci occupa, la procedura che ha interessato il sig. [NOME COGNOME], nella qualità di fallito, è durata complessivamente [X] anni e [Y] mesi, calcolati dal deposito in Cancelleria dell’istanza di fallimento ([DATA]) alla data di pubblicazione del decreto di chiusura del fallimento ([DATA]); quindi, un procedimento durato ben [Z] anni e [W] mesi oltre i 5 anni di durata massima previsti per tali giudizi.

Nel caso in esame, infatti, non può in alcun modo assumersi che la procedura fallimentare fosse di notevole complessità tale da giustificare un’ulteriore proroga del termine fino a 7 anni, dal momento che, come risulta dallo stato passivo allegato, vi è stato l’intervento di soli [N] creditori, per un debito complessivo non superiore a € [IMPORTO].

Per quanto sopra, è assolutamente evidente come il sig. [NOME COGNOME] non abbia in alcun modo contribuito a rallentare la chiusura del fallimento. Per contro, la durata abnorme della procedura è da imputare esclusivamente all’operato dell’Amministrazione Giudiziaria, senza che possa ravvisarsi alcun concorso causale o responsabilità, neppure marginale, in capo al ricorrente.

Le cause del ritardo risiedono, in particolare, nei giudizi promossi dalla Curatela fallimentare: [ELENCARE I GIUDIZI E LA LORO DURATA]. Questi giudizi, ai quali il sig. [NOME COGNOME] è rimasto totalmente estraneo, non avendovi preso parte né avendone in alcun modo influenzato lo svolgimento o gli esiti, hanno causato un ritardo di oltre [X] anni nella definizione della procedura fallimentare. Tale circostanza assume particolare rilievo in quanto dimostra, in modo incontrovertibile, l’assoluta mancanza di qualsivoglia contributo causale del ricorrente al protrarsi dei giudizi connessi e della procedura fallimentare.

Le conseguenze negative subite dal fallito, incolpevole spettatore di un iter giudiziario protrattosi per [X] anni, sono state oltremodo pesanti e lesive della sua sfera personale e patrimoniale. Egli è stato infatti costretto a vivere nell’incertezza e nella precarietà per [X] anni, vedendo compressi i propri diritti a causa di tempistiche del tutto sproporzionate rispetto alla complessità della procedura.

La responsabilità di questa situazione è quindi interamente addebitabile all’Amministrazione Giudiziaria, che non ha gestito con la dovuta celerità un giudizio non particolarmente complesso, data l’esiguità dei creditori ammessi al passivo e del debito fallimentare. L’inerzia e le tempistiche dilatate dell’Autorità Giudiziaria appaiono ingiustificate e configurano una palese violazione dei diritti del fallito a una definizione in tempi ragionevoli, senza che possa essere mosso al ricorrente alcun rimprovero o addebito, neppure a titolo di colpa lievissima, per il protrarsi della vicenda.

II. – SUI DANNI SUBITI DALL’ODIERNO RICORRENTE. SUL QUANTUM DEBEATUR

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