La vicenda giudiziaria che ha coinvolto numerosi medici specializzandi si è conclusa con un’importante pronuncia che chiarisce definitivamente i diritti economici di questa categoria professionale. Un gruppo di medici ha intentato causa contro vari ministeri italiani, sostenendo di aver diritto a un compenso maggiorato per il periodo di specializzazione svolto prima dell’anno accademico 2006-2007. La questione ruota attorno all’interpretazione delle direttive europee e della loro attuazione nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento al passaggio dal decreto legislativo n. 257 del 1991 al decreto legislativo n. 368 del 1999. Il caso solleva interrogativi fondamentali sull’adeguatezza della remunerazione dei medici durante il loro percorso formativo specialistico e sul margine di discrezionalità del legislatore nazionale nell’attuazione delle direttive comunitarie.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia ha preso avvio quando la dottoressa e altri medici hanno citato in giudizio, presso il Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei ministri e diversi ministeri (Salute, Istruzione, Università e Ricerca, Economia e Finanze), chiedendo il riconoscimento del loro diritto a percepire una remunerazione più elevata per il periodo di specializzazione medica svolto. I ricorrenti avevano conseguito la laurea in medicina e le rispettive specializzazioni, percependo gli emolumenti previsti dall’articolo 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257. Tuttavia, sostenevano che il successivo decreto legislativo n. 368 del 1999, emanato in recepimento della direttiva 93/16/CE, avesse introdotto un significativo incremento del compenso a favore dei medici specializzandi.
Il punto cruciale della loro argomentazione risiedeva nel fatto che, nonostante l’emanazione del decreto nel 1999, tale incremento retributivo era stato effettivamente attuato solo a partire dall’anno accademico 2006-2007, in virtù dell’articolo 1, comma 300, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. I medici ricorrenti ritenevano di aver diritto al riconoscimento retroattivo di tale adeguamento economico, poiché i loro periodi di specializzazione si erano svolti in epoca antecedente all’anno accademico 2006-2007, ma successivamente all’emanazione del decreto legislativo del 1999.
In via subordinata, i ricorrenti chiedevano che, in applicazione dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 257 del 1991, fosse riconosciuto il loro diritto all’indicizzazione triennale della borsa di studio e all’adeguamento annuale della stessa. Secondo la loro interpretazione, la normativa europea imponeva allo Stato italiano non solo di corrispondere una remunerazione adeguata, ma anche di mantenerla tale nel tempo attraverso meccanismi di aggiornamento periodico che tenessero conto dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita.
Le amministrazioni convenute si erano costituite in giudizio eccependo il difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto, oltre a chiedere nel merito il rigetto della domanda. Il Tribunale di Roma, in primo grado, aveva respinto le richieste dei medici. La sentenza era stata impugnata davanti alla Corte d’appello di Roma, che con pronuncia dell’8 ottobre 2020 aveva confermato il rigetto del gravame, compensando le spese processuali. I medici specializzandi hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando l’interpretazione data dai giudici di merito alle normative europee e nazionali in materia.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento è particolarmente articolato e si sviluppa lungo un arco temporale che abbraccia diversi decenni. Il punto di partenza è rappresentato dalle direttive europee n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE, successivamente confluite nella direttiva n. 93/16/CE, che hanno disciplinato la formazione medica specialistica all’interno dell’Unione Europea. Queste direttive, tra l’altro, hanno stabilito il principio secondo cui i medici in formazione specialistica devono ricevere una “adeguata remunerazione“ per l’attività svolta.
Il primo recepimento significativo nell’ordinamento italiano è avvenuto con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, che all’articolo 6 ha istituito una borsa di studio per i medici specializzandi, determinata per l’anno 1991 nella somma di lire 21.500.000. La norma prevedeva un meccanismo di incremento annuale basato sul tasso programmato di inflazione, con revisione triennale mediante decreto interministeriale. Tuttavia, questo meccanismo di adeguamento è stato successivamente bloccato da diverse leggi, a partire dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, la cui legittimità costituzionale è stata confermata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 432 del 1997.
Successivamente, il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 ha dato attuazione alla direttiva n. 93/16/CE, riorganizzando l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia. Questo decreto ha introdotto un contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione-lavoro” e poi “contratto di formazione-specialistica“) con un meccanismo retributivo articolato in una quota fissa e una quota variabile. È importante sottolineare che, come ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (in particolare dalla Sezione Lavoro), tale contratto non dà luogo a un rapporto di lavoro subordinato né è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, risultando pertanto inapplicabile l’articolo 36 della Costituzione e il principio di adeguatezza della retribuzione.
Il nuovo sistema retributivo introdotto dal decreto legislativo n. 368 del 1999 è diventato operativo solo a partire dall’anno accademico 2006-2007, in seguito alle modifiche apportate prima dall’articolo 8 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, e poi dall’articolo 1, comma 300, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Le disposizioni del decreto legislativo n. 257 del 1991 sono rimaste applicabili fino all’anno accademico 2005-2006.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione si è consolidata nel tempo su questi temi, come dimostrano numerose pronunce, tra cui la sentenza 28 giugno 2018, n. 17051, le ordinanze 27 febbraio 2019, n. 5698, 15 ottobre 2019, n. 26074, 28 febbraio 2020, n. 5455, 12 novembre 2020, n. 25463, 21 gennaio 2021, n. 1114, e 30 aprile 2024, n. 11630. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione con le sentenze 25 febbraio 1999 (causa C-131/97, Carbonari) e 3 ottobre 2000 (causa C-371/97, Gozza).
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili entrambi i motivi di ricorso proposti dai medici specializzandi, in applicazione dell’articolo 360-bis, n. 1, del codice di procedura civile, rilevando che sulle questioni oggetto del ricorso esiste una giurisprudenza ormai consolidata della stessa Corte. La decisione si fonda su tre punti fondamentali che meritano un’attenta analisi.
In primo luogo, la Suprema Corte ha chiarito che la direttiva n. 93/16/CE non ha innovato rispetto alle precedenti direttive in materia di formazione medica specialistica. Come risulta dal primo considerando della direttiva stessa, l’obiettivo era semplicemente quello di riunire in un testo unico, “per motivi di razionalità e per maggiore chiarezza“, le precedenti direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE. A conferma di ciò, l’ultimo considerando della direttiva lasciava “impregiudicati gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini per il recepimento delle direttive” precedenti.
In secondo luogo, il concetto di “adeguata remunerazione“ è comparso per la prima volta nell’Allegato alla direttiva n. 82/76/CEE e si ritrova, senza alcuna modificazione, nell’Allegato I alla direttiva n. 93/16/CE. La Corte ha sottolineato che lo Stato italiano aveva adempiuto al proprio obbligo di fissare una remunerazione adeguata già con l’articolo 6 del decreto legislativo n. 257 del 1991. La normativa europea, infatti, non contiene una definizione specifica di quale debba essere la remunerazione adeguata, lasciando agli Stati membri la discrezionalità di fissarne l’entità, anche in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica.
In terzo luogo, la Corte ha ribadito che il nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione introdotto dal decreto legislativo n. 368 del 1999 non può essere considerato il primo atto di effettivo recepimento degli obblighi derivanti dalle direttive europee, ma rappresenta piuttosto una scelta discrezionale del legislatore nazionale. Di conseguenza, il differimento dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni all’anno accademico 2006-2007 rientrava nella legittima discrezionalità del legislatore e non ha comportato alcuna violazione del diritto dell’Unione Europea.
Riguardo alla domanda subordinata relativa agli adeguamenti triennali e alla rivalutazione annuale della borsa di studio, la Corte ha confermato l’orientamento secondo cui l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dall’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 257 del 1991. Questo perché l’articolo 32, comma 12, della legge n. 449 del 1997, confermato dall’articolo 36, comma 1, della legge n. 289 del 2002, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso l’applicazione dell’articolo 6 citato. Tale blocco degli incrementi è stato ritenuto non irragionevole in quanto parte di una più ampia manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi erogati dallo Stato.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Il Collegio osserva che con la sentenza 28 giugno 2018, n. 17051 (e numerose altre conformi, tra cui le ordinanze 27 febbraio 2019, n. 5698, 15 ottobre 2019, n. 26074, 28 febbraio 2020, n. 5455, 12 novembre 2020, n. 25463, 21 gennaio 2021, n. 1114, e 30 aprile 2024, n. 11630) questa Corte ha affrontato un caso identico a quello in esame, pervenendo a conclusioni alle quali la pronuncia odierna intende dare piena e convinta continuità. Tali conclusioni, peraltro, sono in linea con un orientamento già assunto dalla Sezione Lavoro di questa Corte (v., tra le altre, le sentenze 16 gennaio 2014, n. 794, 4 giugno 2014, n. 15362, e, più di recente, la sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449) e da questa Terza Sezione Civile. […] Ed invero la direttiva n. 93/16/CE, come risulta dalla sua stessa formulazione (si veda, in proposito, il primo Considerando), non ha una portata innovativa, prefiggendosi soltanto l’obiettivo, «per motivi di razionalità e per maggiore chiarezza», di procedere alla codificazione delle tre suindicate direttive «riunendole in un testo unico»; il che risulta ancor più evidente per il fatto che la direttiva in questione lascia «impregiudicati gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini per il recepimento delle direttive» di cui all’allegato III, parte B (così l’ultimo dei Considerando).
È stato infatti più volte affermato che l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6, comma 1, del d. lgs. n. 257 del 1991, in quanto l’art. 32, comma 12, della legge n. 449 del 1997, con disposizione confermata dall’art. 36, comma 1, della legge n. 289 del 2002, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del citato art. 6 (ordinanza 27 luglio 2017, n. 18670, sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449, ribadita da altre successive, fra cui l’ordinanza 20 maggio 2019, n. 13572).
È stato anche detto che il blocco di tale incremento non può dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato (così le Sezioni Unite, sentenza 16 dicembre 2008, n. 29345, la sentenza 15 giugno 2016, n. 12346, l’ordinanza 27 luglio 2017, n. 18670 e la sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449).”
(Corte di Cassazione, n. 2248/2025)