La cessione del credito rappresenta oggi uno degli istituti giuridici più rilevanti nel panorama del diritto bancario italiano, con implicazioni significative sia per gli operatori del settore che per i consumatori. Le recenti pronunce giurisprudenziali hanno contribuito a delineare con maggiore precisione i confini normativi di questo strumento, particolarmente utilizzato nel contesto delle operazioni di cartolarizzazione e nelle cessioni massive di crediti deteriorati. La Suprema Corte ha consolidato un orientamento particolarmente rigoroso in tema di onere probatorio a carico del cessionario che agisce in giudizio, richiedendo una documentazione completa e puntuale dell’intera catena di cessioni.
Le sentenze di questa settimana offrono un quadro illuminante su questioni centrali come la legittimazione attiva del cessionario, l’efficacia della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale nelle cessioni ex art. 58 TUB, e le modalità di prova della titolarità del credito. Si delinea così un sistema di garanzie procedurali che mira a tutelare il debitore ceduto, richiedendo al contempo al cessionario di dimostrare in modo incontrovertibile la propria legittimazione ad agire in giudizio. Le decisioni esaminate costituiscono pertanto un riferimento essenziale per avvocati, consulenti e operatori del settore che intendano muoversi con sicurezza nell’ambito delle operazioni di cessione del credito.
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Cessione del credito e prova documentale: il rigore della Cassazione applicato dai tribunali di merito
Il Tribunale di Patti, con una recente sentenza del 2025, ha applicato rigorosamente i principi della Corte di Cassazione in materia di cessione del credito, ribadendo l’onere probatorio a carico del cessionario.
La controversia originava da un’opposizione a decreto ingiuntivo emesso per un contratto di leasing finanziario. Il punto centrale della decisione riguardava la prova della titolarità del credito da parte della società finanziaria che aveva agito in via monitoria, dopo diverse cessioni a partire dal creditore originario Daimler Chrysler Servizi Finanziari s.p.a..
Il Tribunale ha chiarito che in caso di contestazione specifica da parte del debitore ceduto, non è sufficiente la mera pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per provare l’esistenza del contratto di cessione. Nel caso esaminato, la società opposta aveva prodotto un contratto di cessione che, tuttavia, non individuava specificamente il credito oggetto di ingiunzione e non risultavano prodotti documenti attestanti le precedenti cessioni dal creditore originario alle successive cessionarie.
Il giudice ha ribadito il principio secondo cui in caso di cessioni plurime, grava sull’ultimo cessionario l’onere di fornire la prova negoziale in ordine a tutte le cessioni medio tempore intervenute che abbiano determinato l’attuale titolarità del credito, secondo il principio “nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet“.
La decisione si fonda su un consolidato orientamento della Suprema Corte, in particolare su recenti ordinanze del 2023 e del 2020, che hanno delineato con chiarezza la differenza tra la mera pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, finalizzata a rendere opponibile la cessione, e la prova dell’esistenza e del contenuto del contratto di cessione.
Secondo l’art. 58 del Testo Unico Bancario, disponibile sul sito Banca d’Italia – Testo Unico Bancario, la cessione di rapporti giuridici in blocco diviene efficace nei confronti dei debitori ceduti mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma tale adempimento non sostituisce la prova dell’esistenza del contratto di cessione, né dell’inclusione di uno specifico credito nell’ambito dell’operazione.
In sintesi:
- La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non è di per sé sufficiente a provare la cessione in caso di contestazione
- In caso di cessioni multiple, il cessionario deve provare l’intera catena di trasferimenti del credito
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Efficacia della cessione del credito e prescrizione: una questione di priorità temporale
Il Tribunale di Ragusa, con ordinanza del 2025, ha affrontato un’interessante questione relativa all’efficacia della cessione del credito futuro e alla sua opponibilità in caso di cessioni successive dello stesso credito.
Il caso riguardava un debitore che aveva ceduto il proprio credito futuro relativo al TFR a un creditore come forma di garanzia per l’acquisto di un’autovettura. Successivamente, lo stesso debitore aveva ceduto nuovamente il medesimo credito a un istituto bancario. La questione giuridica centrale verteva sulla priorità tra le due cessioni e sulla validità della cessione di un credito futuro.
Il Tribunale ha chiarito che la cessione del credito futuro è pienamente ammissibile secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, intendendo per credito futuro quello non ancora venuto ad esistenza nel patrimonio del debitore. A supporto di questo principio, la decisione cita le recenti pronunce della Cassazione del 2024, del 2023 e del 2020.
L’art. 1264 del Codice Civile stabilisce che “la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata“, come riportato sul sito Codice Civile – Altalex. Il Tribunale ha quindi correttamente applicato questo principio, confermando che l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto si ha dal momento della notifica, sancendo la prevalenza della prima cessione, correttamente notificata all’ente previdenziale.
La decisione richiama anche la disciplina del D.lgs. 691/1947 e del D.P.R. 180 del 1950 sulla cedibilità dei trattamenti di fine rapporto dei dipendenti pubblici, evidenziando come tali norme restrittive si applichino esclusivamente a specifiche categorie di pubblici dipendenti e non ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche “privatizzati”, come nel caso in esame.
In sintesi:
- La cessione di crediti futuri è ammissibile secondo consolidata giurisprudenza
- Tra più cessioni dello stesso credito prevale quella notificata per prima al debitore ceduto
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Cessione del credito e prescrizione: l’importanza della documentazione completa
Il Tribunale di Taranto, con sentenza del 2025, ha affrontato un caso di opposizione a decreto ingiuntivo in cui si intrecciavano questioni di legittimazione attiva del cessionario e prescrizione del credito.
La controversia riguardava un finanziamento contratto nel 2009, con decadenza dal beneficio del termine intervenuta nel 2010. L’opponente contestava sia la titolarità del credito in capo alla società opposta, sia l’intervenuta prescrizione decennale del credito.
Il Tribunale ha ribadito i principi espressi dalla recente giurisprudenza di legittimità, citando espressamente le decisioni della Cassazione del 2024, sottolineando la necessità di distinguere tra la prova dell’esistenza della cessione e la prova dell’inclusione del credito nell’operazione di cessione in blocco.
La sentenza richiama anche un’ordinanza della Cassazione del 2023, che ha precisato come “in tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale”.
Il Tribunale riafferma il principio generale dell’art. 2935 c.c., consultabile sul sito Brocardi.it – Art. 2935 Codice Civile, secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere“. Di conseguenza, in materia di contratti di finanziamento, la prescrizione inizia a decorrere dalla decadenza dal beneficio del termine, che determina l’immediata esigibilità dell’intero credito, e non dalla scadenza dell’ultima rata originariamente prevista.
La decisione richiama anche la disciplina dell’interruzione della prescrizione, evidenziando come gli atti interruttivi debbano provenire dal titolare del diritto o da un suo rappresentante munito di apposito potere e debbano essere adeguatamente provati nell’an e nel quantum.
In sintesi:
- La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, in caso di contestazione, non è sufficiente a provare la cessione
- La prescrizione del credito decorre dalla decadenza dal beneficio del termine, non dalla scadenza dell’ultima rata
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