Differenza tra transazione novativa e conservativa: sentenza Tribunale di Roma 2024

Differenza tra transazione novativa e conservativa: sentenza Tribunale di Roma 2024

Nel panorama giuridico italiano, una recente sentenza del Tribunale di Roma del 2024 ha gettato nuova luce su un istituto fondamentale del diritto civile: la transazione novativa. Questo pronunciamento solleva una questione cruciale: quali sono i reali effetti di una transazione novativa sui rapporti obbligatori preesistenti? La decisione del tribunale capitolino offre spunti di riflessione significativi, mettendo in discussione alcune concezioni radicate nella prassi forense. Come può un semplice accordo tra le parti rivoluzionare completamente un rapporto giuridico preesistente, con conseguenze processuali di vasta portata? La sentenza in esame fornisce risposte illuminanti, destinata a diventare un punto di riferimento per professionisti e studiosi del diritto.

INDICE

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda giudiziaria in esame trae origine da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma nel dicembre 2019. Il provvedimento, ottenuto da una società di ricerca e sviluppo (che chiameremo “Alfa” per tutelare la privacy), intimava a un’altra azienda (che denomineremo “Beta”) il pagamento della considerevole somma di 3.050.000 euro.

Il credito vantato da Alfa nei confronti di Beta scaturiva da due distinte commesse di ricerca, entrambe conferite il 2 gennaio 2017 nell’ambito di un accordo quadro di collaborazione stipulato tra le parti. La prima commessa, dal valore di 1.250.000 euro più IVA, riguardava la “Ricerca industriale e sviluppo sperimentale per la revisione e implementazione dei processi di governo delle manutenzioni fisse e itineranti”. La seconda, di pari importo, era finalizzata alla “Ricerca industriale e sviluppo sperimentale per l’Assessment della mappa applicativa e della roadmap evolutiva di medio/lungo periodo”.

Alfa sosteneva di aver portato a termine entrambe le attività commissionate, emettendo conseguentemente due fatture in data 16 luglio 2018, ciascuna per l’importo di 1.525.000 euro (comprensivi di IVA). Il mancato pagamento di tali fatture aveva indotto Alfa a richiedere e ottenere il decreto ingiuntivo per l’intero ammontare.

Beta, ricevuta la notifica del decreto ingiuntivo il 23 dicembre 2019, decideva di proporre opposizione con atto di citazione notificato il 5 febbraio 2020. Le argomentazioni addotte da Beta a sostegno della propria opposizione erano essenzialmente due:

  1. In primo luogo, Beta affermava di aver emesso e consegnato ad Alfa, in data 19 novembre 2019, dodici vaglia cambiari per un importo complessivo di 605.750 euro. Secondo Beta, ciò rendeva illegittima la richiesta di Alfa di ottenere due titoli di credito (cambiali e decreto ingiuntivo) per lo stesso importo.
  2. In secondo luogo, Beta accusava Alfa di aver agito con mala fede o quantomeno con colpa grave. Infatti, il ricorso per decreto ingiuntivo era stato presentato il 5 dicembre 2019 e notificato il 23 dicembre 2019, quindi successivamente all’emissione e alla consegna dei vaglia cambiari. Per tale motivo, Beta chiedeva il risarcimento dei danni subiti, da liquidarsi in via equitativa.

Alfa si costituiva in giudizio contestando fermamente le affermazioni di Beta. In particolare, Alfa negava di aver ricevuto o incassato alcun effetto cambiario o altro tipo di pagamento. Inoltre, Alfa sottolineava come, in base all’art. 1988 c.c., fosse onere del debitore provare l’inesistenza del rapporto sottostante o l’estinzione delle obbligazioni da esso nascenti.

Il procedimento subiva una svolta decisiva il 15 maggio 2020, quando le parti sottoscrivevano un accordo transattivo. In base a tale accordo, Beta si impegnava a versare ad Alfa la somma di 1.670.000 euro secondo le scadenze ivi previste. L’accordo conteneva una clausola di decadenza dal beneficio del termine in caso di mancato pagamento anche di una sola rata, con conseguente diritto di Alfa di pretendere l’intero credito residuo.

Beta, nelle proprie note del 4 gennaio 2021, sosteneva che tale accordo transattivo avesse natura novativa, determinando così la cessazione della materia del contendere per l’effetto dispiegato sul rapporto originario. Alfa, di contro, nelle note del 30 dicembre 2020, evidenziava come Beta non avesse rispettato il piano di rientro previsto nell’accordo transattivo. Per tale motivo, Alfa chiedeva la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto per l’intero importo di 3.050.000 euro.

Il Tribunale, dopo aver negato la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, rimetteva la causa in decisione.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La questione centrale affrontata dal Tribunale di Roma nella sentenza in esame riguarda la qualificazione giuridica dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti e, conseguentemente, gli effetti di tale accordo sul rapporto obbligatorio preesistente e sul procedimento in corso.

Il punto di partenza dell’analisi del Tribunale è la distinzione tra transazione novativa e transazione conservativa, istituti che, pur avendo in comune la finalità di comporre una lite attuale o potenziale (art. 1965 c.c.), producono effetti profondamente diversi sul rapporto sottostante.

La transazione novativa trova il suo fondamento normativo nell’art. 1976 c.c., il quale stabilisce che “la transazione nulla per causa diversa dall’illiceità dell’oggetto non rende invalide le rinunce alle pretese originarie, salvo che dalle espressioni usate dalle parti o dalle circostanze risulti che tali rinunce sono state fatte in dipendenza della transazione nulla“. Da questa norma si evince, a contrario, che la transazione può avere effetto novativo, estinguendo il rapporto preesistente e sostituendolo con uno nuovo.

La transazione conservativa, invece, si limita a modificare, precisare o integrare il rapporto preesistente, senza estinguerlo. Questa distinzione è cruciale perché, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, solo nel caso di transazione conservativa è possibile la riviviscenza dell’obbligazione originaria in caso di inadempimento dell’accordo transattivo.

Il Tribunale di Roma fa riferimento a diversi precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione per delineare i criteri distintivi tra transazione novativa e conservativa. In particolare, viene richiamata la sentenza n. 7194 del 13 marzo 2019, la quale individua quali elementi essenziali della transazione novativa:

  1. L’animus novandi, ovvero l’inequivoca comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova;
  2. L‘aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che, in assenza di un’espressa manifestazione di volontà delle parti, spetta al giudice di merito accertare se le stesse abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero abbiano inteso mantenere in vita il precedente rapporto (cfr. Cass. n. 23064 del 11 novembre 2016).

Per qualificare la transazione come novativa, secondo la Suprema Corte, è necessario che l’accordo raggiunto dalle parti disciplini per intero il nuovo rapporto negoziale e che vi sia una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo.

Il Tribunale di Roma fa riferimento anche all’art. 1230 c.c., che disciplina la novazione oggettiva. Questa norma stabilisce che “l’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso“. La giurisprudenza ha chiarito che la novazione richiede, oltre all’animus novandi, anche l’aliquid novi, cioè una modificazione sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto (Cass. n. 12280/2007).

In merito agli effetti processuali della transazione, il Tribunale richiama la sentenza della Cassazione n. 13085 del 2008, secondo cui la sottoscrizione di una transazione nel corso del giudizio rappresenta un fatto estintivo del credito azionato in sede monitoria, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo.

Infine, per quanto riguarda la compensazione delle spese di lite, il Tribunale fa implicito riferimento all’art. 92 c.p.c., che consente al giudice di compensare le spese tra le parti quando vi siano “gravi ed eccezionali ragioni“, tra cui può rientrare la conclusione di una transazione in corso di causa.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Roma, nell’affrontare la questione centrale del caso, ovvero la qualificazione dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti nel maggio 2020, adotta un approccio analitico e rigoroso, in linea con i più recenti orientamenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione.

Il giudice, in primo luogo, sottolinea come la distinzione tra transazione novativa e conservativa sia dirimente ai fini della decisione, poiché “soltanto nella seconda ipotesi è possibile la riviviscenza dell’obbligazione originaria“. Questa premessa metodologica è fondamentale per comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal Tribunale.

Nell’analisi del caso concreto, il giudice individua diversi elementi che depongono a favore della qualificazione dell’accordo come transazione novativa:

  1. Disciplina integrale del nuovo rapporto: l’accordo transattivo regola in modo completo ed esaustivo il nuovo rapporto tra le parti, determinando la somma da versare, le modalità e i tempi di pagamento, nonché la rinuncia all’importo stralciato.
  2. Oggettiva incompatibilità con il rapporto preesistente: il nuovo assetto negoziale delineato dalla transazione appare incompatibile con l’originario rapporto obbligatorio, sia per quanto riguarda l’entità del debito, sia per le modalità di adempimento.
  3. Qualificazione espressa delle parti: il giudice attribuisce rilevanza al fatto che le stesse parti abbiano definito l’accordo come “transazione novativa” (art. 7 dell’accordo), pur non considerando questo elemento come decisivo di per sé.
  4. Clausola di decadenza: il Tribunale valorizza la previsione contenuta nell’art. 5 dell’accordo, secondo cui, in caso di mancato pagamento anche di una sola rata, il creditore avrebbe potuto “pretendere il pagamento dell’intera somma a proprio credito detraendo quanto effettivamente incassato“. Questa clausola, letta in combinato disposto con l’art. 2 dell’accordo (che quantifica il nuovo credito in 1.670.000 euro), è interpretata dal giudice come ulteriore conferma della volontà novativa delle parti.

La conclusione del Tribunale è netta: l’accordo transattivo ha dato vita a un nuovo rapporto contrattuale, sostituendo integralmente il precedente rapporto obbligatorio e creando una nuova obbligazione.

Questa qualificazione ha conseguenze di notevole portata pratica. In particolare, il giudice afferma che “l’inadempimento dell’accordo transattivo non determina la reviviscenza del maggior debito originario, essendosi ormai estinto per novazione il rapporto preesistente“. Ciò significa che, anche in caso di mancato rispetto dell’accordo transattivo da parte del debitore, il creditore non potrà pretendere il pagamento dell’intero importo originariamente dovuto (3.050.000 euro), ma solo quanto stabilito nella transazione (1.670.000 euro), detratto quanto eventualmente già incassato.

Sul piano processuale, il Tribunale trae da questa qualificazione una conseguenza diretta: la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Infatti, la sottoscrizione della transazione novativa, sebbene avvenuta nel corso del giudizio, rappresenta un fatto estintivo del credito azionato in sede monitoria. Il giudice richiama a sostegno di questa conclusione la giurisprudenza della Cassazione (sentenze n. 13085/2008 e n. 4531/2000).

Un ulteriore aspetto interessante della decisione riguarda la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. proposta dalla parte opponente. Il Tribunale ritiene che tale domanda sia “assorbita” dalla conclusione della transazione successivamente all’instaurazione del procedimento. Questa valutazione sembra fondarsi sul principio per cui la transazione, ponendo fine alla lite, rende superflua ogni ulteriore indagine sulla temerarietà della lite stessa.

Infine, per quanto concerne le spese di lite, il giudice opta per la compensazione integrale. Questa decisione, pur non esplicitamente motivata, appare coerente con il fatto che la transazione è intervenuta in corso di causa, modificando sostanzialmente la situazione di partenza e rendendo difficile individuare una parte “soccombente” in senso stretto.

In conclusione, la sentenza del Tribunale di Roma offre un’analisi approfondita e tecnicamente ineccepibile della transazione novativa, delle sue caratteristiche distintive e dei suoi effetti sul piano sostanziale e processuale. La decisione si inserisce nel solco della più recente giurisprudenza di legittimità, contribuendo a chiarire un istituto di frequente applicazione nella pratica negoziale ma non sempre di agevole interpretazione.

L’approccio adottato dal Tribunale, basato su un’attenta valutazione degli elementi concreti dell’accordo transattivo e della volontà delle parti, fornisce utili indicazioni operative per i professionisti del diritto chiamati a redigere o interpretare simili accordi. Allo stesso tempo, la sentenza sottolinea l’importanza di una corretta qualificazione giuridica della transazione, dalle cui conseguenze possono derivare effetti di notevole impatto pratico per le parti coinvolte.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura dell’estratto della sentenza.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

Dirimente ai fini della decisione del presente giudizio è la qualificazione dell’accordo transattivo avvenuto tra le odierne parti processuali nel maggio 2020 in termini di transazione novativa o conservativa, atteso che soltanto nella seconda ipotesi è possibile la riviviscenza dell’obbligazione originaria.

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