La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza destinata a cambiare radicalmente la disciplina della divisione dei beni tra coniugi in sede di separazione consensuale. La decisione affronta il delicato tema della ripartizione del patrimonio comune, stabilendo un principio innovativo che supera la tradizionale concezione delle quote necessariamente paritarie nella comunione legale. Il caso esaminato riguarda una coppia che, in sede di separazione consensuale, aveva concordato una divisione non egualitaria della casa coniugale, attribuendo il 71% alla moglie e il 29% al marito. Tale accordo, inizialmente contestato, è stato oggetto di un’approfondita analisi da parte della Suprema Corte, che ha dovuto bilanciare il principio dell’autonomia negoziale dei coniugi con le norme imperative che regolano la comunione legale dei beni. La pronuncia del 2025 rappresenta una svolta significativa nel diritto di famiglia, riconoscendo una maggiore flessibilità nella sistemazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi che si separano.
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INDICE
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda prende avvio da un matrimonio celebrato nei primi anni ’80, durante il quale i coniugi acquistarono un appartamento in comunione legale. In sede di separazione consensuale, le parti raggiunsero un accordo che prevedeva una divisione non paritaria del bene immobile, attribuendo quote differenziate tra i coniugi. Tale pattuizione venne formalizzata nel verbale di separazione e successivamente omologata dal tribunale. Anni dopo, uno dei coniugi contestò la validità di questo accordo, sostenendo la violazione del principio di uguaglianza delle quote nella comunione legale, come previsto dall’art. 210 c.c. Il caso attraversò i vari gradi di giudizio, con decisioni contrastanti: mentre il Tribunale e la Corte d’Appello avevano dichiarato la nullità dell’accordo per violazione di norme imperative, ritenendo inderogabile il principio di uguaglianza delle quote, la questione è giunta infine all’esame della Suprema Corte. La particolarità del caso risiede nel fatto che l’accordo di divisione non paritaria era stato raggiunto proprio nel contesto della separazione consensuale, all’interno di una più ampia sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, circostanza che ha richiesto una valutazione approfondita del rapporto tra autonomia negoziale e norme imperative del regime patrimoniale della famiglia.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La questione si inserisce nel complesso quadro normativo del regime patrimoniale della famiglia. Il punto di partenza è rappresentato dall’art. 210 c.c., che disciplina la modificazione convenzionale della comunione legale dei beni, stabilendo apparentemente l’inderogabilità delle norme relative all’uguaglianza delle quote. Tuttavia, come evidenziato dalla Corte, questa disposizione va letta in combinato disposto con gli artt. 156, 162 e 191 c.c., che regolano rispettivamente gli effetti della separazione personale, le convenzioni matrimoniali e lo scioglimento della comunione legale. Di fondamentale importanza è anche il richiamo alla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 21761/2021, che ha riconosciuto la piena validità delle clausole dell’accordo di separazione che attribuiscono la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili a uno dei coniugi. La Corte ha inoltre citato significativi precedenti giurisprudenziali, tra cui la sentenza n. 8193/2024, che ha definito la comunione legale come una “comunione senza quote” durante il matrimonio, ma che, una volta sciolta, permette ai coniugi di cedere liberamente la propria quota. Particolare rilevanza assume anche la sentenza n. 2740/2019, che ha riconosciuto la natura di “sistemazione solutorio-compensativa” degli accordi di separazione, attribuendo loro una specifica tipicità nell’ambito degli atti dispositivi patrimoniali.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, stabilendo un principio innovativo nel panorama del diritto di famiglia. La decisione si fonda su tre pilastri fondamentali. In primo luogo, la Corte ha chiarito che lo scioglimento della comunione legale si verifica con effetto ex nunc dal momento dell’omologazione della separazione consensuale. Da questo momento, viene meno il vincolo di destinazione familiare dei beni e si apre la strada alla piena autonomia negoziale dei coniugi. In secondo luogo, è stato evidenziato come gli accordi di separazione rispondano ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti patrimoniali, che deve essere valutato nella sua globalità. Infine, la Corte ha stabilito che, nell’ambito di tale sistemazione complessiva, i coniugi possono liberamente disporre dei beni in comunione, prevedendo anche quote non paritarie, senza che ciò comporti la violazione di norme imperative. Questa decisione rappresenta un significativo passo avanti verso una maggiore flessibilità nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi in fase di separazione.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Ne discende che, una volta sciolta la comunione legale con la separazione consensuale, rientra nella piena autonomia negoziale delle parti disciplinare gli aspetti economico-patrimoniali – estranei agli obblighi ex lege riguardanti la prole, in relazione ai quali l’autonomia delle parti contraenti incontra limiti – con l’accordo di separazione omologato; in tale sede le parti possono liberamente disporre dei beni in comunione al fine di regolare i rapporti economici della coppia e possono prevedere una ripartizione del bene immobile in comunione legale per quote non egalitarie nell’ambito delle reciproche attribuzioni patrimoniali, in vista della successiva divisione, senza che ricorra alcuna ipotesi di nullità.”
(Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 febbraio 2025, n. 2546)