Assegno emesso a garanzia: la Cassazione conferma la nullità del patto e la validità come promessa di pagamento (Corte di Cassazione, 2024)

Nel settembre 2024, la Corte di Cassazione ha emesso una significativa pronuncia in materia di assegni bancari emessi con funzione di garanzia. La sentenza affronta il caso di un assegno emesso apparentemente a titolo di garanzia per debiti di terzi, confermando l’orientamento giurisprudenziale che considera nullo il patto di garanzia sottostante, ma valido l’assegno come promessa di pagamento. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del debitore, confermando la decisione della Corte d’Appello che aveva ritenuto valido e azionabile l’assegno, nonostante la contestazione sulla sua funzione di garanzia.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda giudiziaria trae origine da un decreto ingiuntivo emesso in favore del creditore per l’importo di € 30.987,41 oltre interessi legali, sulla base di un assegno bancario emesso dal debitore. Quest’ultimo si oppose al decreto ingiuntivo, sostenendo di aver emesso l’assegno non per un debito personale, ma a titolo di garanzia per i crediti che alcune ditte individuali vantavano nei confronti di una società di cui il debitore era socio.

L’opponente eccepì l’estinzione della garanzia per pagamento del debito da parte del debitore principale, nonché la decadenza ex art. 1957 c.c. per mancata azione tempestiva del creditore nei confronti del debitore principale. Inoltre, sollevò eccezioni di prescrizione del credito e di invalidità del titolo di credito, anche sotto il profilo della presunta apocrifia della sottoscrizione.

Il Tribunale di Venezia, in prima istanza, confermò il decreto ingiuntivo, ritenendo che l’eventuale accordo sulla funzione di garanzia dell’assegno bancario non inducesse la nullità dell’assegno stesso, ma comportasse soltanto la nullità del relativo patto per contrarietà a norme imperative. Di conseguenza, l’assegno fu considerato valido come mezzo di pagamento e, in caso di impossibilità di esercitare l’azione cartolare, come promessa di pagamento ex art. 1988 c.c.

Il debitore interpose appello, ma la Corte d’Appello di Venezia rigettò integralmente l’impugnazione, confermando la nullità dell’accordo di garanzia sottostante al titolo di credito azionato e la validità dell’assegno come promessa di pagamento.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La sentenza in esame si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione in materia di assegni emessi con funzione di garanzia. In particolare, viene richiamata la sentenza n. 10710/2016, che ha stabilito il principio secondo cui l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, utilizzato per realizzare un fine di garanzia, è contraria alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del r.d. n. 1736 del 1933 (Legge assegni).

Tali norme prescrivono che l’assegno bancario contenga la data di emissione e sia pagabile a vista, caratteristiche incompatibili con l’utilizzo dell’assegno come strumento di garanzia. La Corte ha ritenuto che tale pratica dia luogo a un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c.

Inoltre, la sentenza fa riferimento all’art. 1988 c.c., che disciplina la promessa di pagamento. Secondo questa norma, la promessa di pagamento dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale, la cui esistenza si presume fino a prova contraria.

La Corte richiama anche l’art. 1957 c.c., che regola la scadenza dell’obbligazione principale nel contesto delle fideiussioni, stabilendo termini entro i quali il creditore deve agire contro il debitore principale per conservare l’efficacia della garanzia.

Infine, viene menzionato l’art. 2948 n. 4 c.c., che prevede la prescrizione quinquennale per gli interessi e, in generale, per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso presentato da Bressan, confermando la decisione della Corte d’Appello di Venezia. L’analisi della Suprema Corte si è concentrata su diversi aspetti chiave della controversia.

In primo luogo, la Corte ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza per omessa motivazione. Ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione adeguata in merito all’accordo fideiussorio asseritamente intercorrente tra le parti e consacrato nell’emissione dell’assegno in questione. La Corte territoriale aveva correttamente ritenuto nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 c.c., motivando la contrarietà a norme imperative dell’emissione dell’assegno consegnato a garanzia di un debito.

La Cassazione ha poi dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi alla qualificazione del rapporto sottostante al titolo di credito azionato. Ha ritenuto che tali censure mirassero a richiedere una nuova e non consentita valutazione dei fatti accertati in esito al giudizio. La Corte ha confermato l’accertamento della Corte d’Appello secondo cui l’assegno era stato emesso per pagamento, e non a garanzia, condividendo la qualificazione dell’assegno bancario azionato quale promessa di pagamento dell’emittente in favore del prenditore.

La Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui l’accordo fideiussorio concretizzato nell’emissione di un assegno in bianco o postdatato, consegnato a garanzia di un debito, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del r.d. n. 1736 del 1933. Tale pratica dà luogo a un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile il motivo di ricorso basato sull’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. (omesso esame di un fatto decisivo), in quanto l’art. 348 ter c.p.c., applicabile ratione temporis, preclude tale motivo nel caso di pronuncia d’appello conforme a quella di primo grado e fondata sulle stesse ragioni inerenti a questioni di fatto.

Infine, la Corte ha ritenuto inammissibile anche il motivo relativo alla prescrizione degli interessi, in quanto la censura dedotta in ricorso non esplicava adeguatamente la asserita violazione dell’art. 2948 c.c.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha confermato la validità dell’assegno come promessa di pagamento, nonostante la nullità dell’eventuale accordo di garanzia sottostante, respingendo tutte le argomentazioni del ricorrente e confermando l’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“Orbene, è evidente che tali censure sono mirate a richiedere una nuova e soprattutto diversa valutazione di merito dei fatti di causa al fine di provare la esistenza di un rapporto di garanzia, nel caso di specie caratterizzato dalla emissione di un assegno senza data. A tal riguardo la Corte ha risposto esaurientemente con la affermazione della ‘degradazione’ del titolo cartolare a promessa di pagamento direttamente esercitabile nei confronti dell’emittente il titolo medesimo. […] Al riguardo, è da osservarsi che la Corte di Appello, ha accertato che l’assegno è stato emesso per pagamento, condividendo quanto accertato in prime cure. Ha motivato nel senso di ritenere nullo l’eventuale accordo fideiussorio con conseguente qualificazione dell’assegno bancario azionato quale promessa di pagamento dell’emittente in favore del prenditore. Tale accertamento suffragato dalla giurisprudenza di questa Corte comporta che l’accordo fideiussorio concretantesi nella emissione di un assegno in bianco o postdatato consegnato a garanzia di un debito da restituirsi al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del r.d. n. 1736 del 1933 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, enunciato dall’art. 1343 c.c.”

(Corte di Cassazione, n. 25599/2024)

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