Assegno divorzile da 125.000 euro fa perdere l’assegno sociale: la clamorosa decisione del Tribunale di Cremona

Il Tribunale di Cremona ha recentemente affrontato un’interessante questione riguardante l’incidenza dell’assegno divorzile una tantum sul diritto a percepire l’assegno sociale. Nel caso specifico, una beneficiaria di assegno sociale aveva ricevuto nel 2013 un assegno divorzile una tantum di 125.000 euro. L’INPS aveva conseguentemente revocato la prestazione assistenziale per l’anno 2014, richiedendo la restituzione delle somme percepite in tale periodo. Il Tribunale ha confermato la legittimità dell’operato dell’Istituto, stabilendo che l’assegno divorzile una tantum deve essere considerato quale reddito rilevante ai fini del superamento della soglia prevista per la sospensione dell’assegno sociale nell’anno successivo alla sua percezione.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda prende avvio quando una beneficiaria di assegno di invalidità civile riceve dall’INPS, in data 10 febbraio 2023, una comunicazione di riliquidazione della prestazione n. 07026152 Cat. INVCIV. Con tale comunicazione, l’Istituto disponeva il ricalcolo della pensione di invalidità civile a decorrere dal 1° gennaio 2019, revocando la maggiorazione sociale e quella prevista dall’art. 38 della Legge n. 448/2001, con conseguente richiesta di ripetizione degli importi corrisposti per un totale di € 12.799,34.

In una successiva comunicazione del 13 febbraio 2023, l’INPS precisava che l’indebito riguardava la prestazione ricevuta nel periodo dal 1° luglio 2020 al 28 febbraio 2023, motivando la richiesta con il superamento del limite reddituale dovuto alla percezione dell’assegno di mantenimento.

La beneficiaria presentava ricorso amministrativo, contestando l’illegittimità della pretesa restitutoria e specificando di non aver percepito alcun assegno di mantenimento periodico, bensì di aver ricevuto, nel solo anno 2013 e in fase di separazione, un assegno divorzile una tantum di € 125.000,00. L’opposizione si concludeva con delibera di rigetto n. 231829, successivamente confermata anche in sede di riesame.

Nel frattempo, con comunicazione del 28 marzo 2023, l’INPS procedeva a una nuova riliquidazione della prestazione “a decorrere dal 1 gennaio 2014“, disponendo il ripristino della maggiorazione sociale e la rideterminazione della maggiorazione prevista dall’art. 38 della legge 448/2001. In particolare, l’Istituto precisava che nulla era stato riconosciuto per le mensilità 1-13/2014, mentre la prestazione era stata regolarmente ripristinata da gennaio 2015, con riattribuzione dell’aumento sociale da luglio 2020.

Con successivo sollecito di pagamento del 16 agosto 2023, l’INPS rideterminava definitivamente l’indebito in € 5.190,40, importo significativamente inferiore rispetto alla richiesta iniziale. Tale riduzione non derivava, come erroneamente indicato nella comunicazione, da una compensazione con controrediti, ma dal corretto ricalcolo dell’indebito, parametrato ai soli importi percepiti nel 2014, risultati non dovuti per il superamento del requisito reddituale causato dall’incasso dell’assegno una tantum nell’anno precedente.

Di fronte a questa situazione, la beneficiaria decideva di adire le vie legali, presentando ricorso al Tribunale di Cremona per contestare la legittimità dell’operato dell’INPS e ottenere l’accertamento del proprio diritto a percepire l’assegno sociale anche per i periodi oggetto di contestazione.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il caso in esame ruota principalmente attorno all’interpretazione dell’art. 3, comma 6, della Legge n. 335/1995, che disciplina i requisiti reddituali per l’erogazione dell’assegno sociale. La norma stabilisce un principio fondamentale: gli incrementi del reddito oltre il limite massimo previsto comportano la sospensione dell’assegno sociale.

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