Amianto in nave: INAIL condannato a risarcire eredi – Tribunale Torre Annunziata 2024

Una recente sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 2024 ha affrontato il delicato tema del nesso causale tra l’esposizione professionale all’amianto e il decesso di un lavoratore marittimo. Il caso solleva importanti questioni in merito alla tutela dei lavoratori esposti a sostanze nocive e al riconoscimento delle malattie professionali. Quali criteri devono essere adottati per accertare il collegamento tra l’attività lavorativa e l’insorgenza di gravi patologie? E quali sono i diritti risarcitori spettanti ai familiari delle vittime?

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso presentato dagli eredi di un lavoratore marittimo deceduto nel novembre 2019 all’età di 60 anni. Il de cuius aveva prestato servizio per diversi anni come ufficiale e comandante su navi mercantili, in particolare negli anni ’80 e ’90, periodo in cui l’utilizzo dell’amianto era ancora diffuso nel settore navale.

Gli eredi, nello specifico la moglie e i due figli, si sono rivolti al Tribunale di Torre Annunziata contestando il mancato riconoscimento da parte dell’INAIL di qualsiasi prestazione previdenziale connessa alla malattia professionale e al successivo decesso del congiunto. In particolare, l’Istituto non aveva concesso né l’indennità di malattia, né l’assegno funerario, né la pensione ai superstiti.

Le parti ricorrenti hanno quindi chiesto al Tribunale di accertare il proprio diritto alle suddette prestazioni, con conseguente condanna dell’INAIL al pagamento delle stesse, oltre a interessi e spese legali.

L’istruttoria si è concentrata sull’accertamento dell’effettiva esposizione del lavoratore all’amianto durante la sua attività lavorativa. A tal fine, sono state acquisite le testimonianze di due ex colleghi del de cuius, che hanno fornito dettagliate descrizioni delle condizioni di lavoro a bordo delle navi negli anni ’80 e ’90.

In particolare, i testi hanno confermato la presenza diffusa di amianto su diverse componenti delle imbarcazioni: nelle stive adibite al trasporto di merci refrigerate, nelle coibentazioni dei tubi e degli impianti, nei freni e verricelli sul ponte, nelle tute ignifughe utilizzate durante le esercitazioni antincendio.

È emerso come i lavoratori, incluso il de cuius, fossero quotidianamente esposti alle fibre di amianto durante le normali attività di navigazione, manutenzione e riparazione, senza l’utilizzo di adeguati dispositivi di protezione individuale. I testimoni hanno riferito di frequenti interventi su tubature e rivestimenti in amianto, che comportavano la rimozione e il riposizionamento del materiale con conseguente dispersione di polveri.

Particolarmente significativa è risultata la testimonianza relativa alle mansioni svolte dal de cuius in qualità di ufficiale e poi comandante. In tali ruoli, egli era tenuto a effettuare ispezioni quotidiane in tutti gli ambienti della nave, comprese le stive coibentate in amianto e la sala macchine, dove le lavorazioni in corso comportavano un’elevata esposizione alle fibre nocive.

L’istruttoria ha quindi evidenziato come l’esposizione all’amianto fosse una costante dell’attività lavorativa svolta dal de cuius per lunghi periodi, in un’epoca in cui non vi era ancora piena consapevolezza dei rischi connessi né venivano adottate adeguate misure di protezione.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il caso in esame si inserisce nel complesso quadro normativo e giurisprudenziale relativo al riconoscimento delle malattie professionali, con particolare riferimento a quelle connesse all’esposizione all’amianto.

Il punto di partenza è rappresentato dal D.P.R. n. 1124/1965, Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. L’art. 3 di tale decreto include tra i lavoratori assicurati anche “gli addetti alla navigazione marittima ed alla pesca marittima“, categoria cui apparteneva il de cuius.

Di fondamentale importanza è poi il sistema tabellare delle malattie professionali, disciplinato dagli artt. 3 e 211 del D.P.R. 1124/1965. Tale sistema prevede una presunzione legale di origine professionale per le patologie incluse in apposite tabelle, correlate a determinate lavorazioni.

Nel caso di specie, assume rilievo la sentenza della Corte di Cassazione n. 13024/2017, espressamente richiamata dal giudice. Tale pronuncia ha stabilito che “in tema di assicurazione contro le malattie professionali, quando la malattia è inclusa nella tabella, al lavoratore è sufficiente dimostrare di esserne affetto e di essere stato addetto alla lavorazione nociva, anch’essa tabellata, affinché il nesso eziologico sia presunto per legge ove la malattia stessa si sia manifestata entro il periodo anch’esso indicato in tabella“.

La Cassazione ha inoltre precisato che “per le malattie correlate all’asbesto, definite monofattoriali, il fattore di rischio è previsto nella tabella in termini ampi, senza indicazioni di soglie quantitative, qualitative e temporali, sicché è da ritenere che l’ordinamento abbia compreso nel giudizio di correlazione causale tra i due termini sopra indicati anche l’apporto concausale“.

Questo orientamento giurisprudenziale ha notevolmente rafforzato la tutela dei lavoratori esposti all’amianto, introducendo una presunzione legale di origine professionale per le patologie correlate, superabile solo con la prova, a carico dell’INAIL, dell’intervento di fattori patogeni extralavorativi dotati di efficacia esclusiva.

Per quanto concerne le prestazioni spettanti in caso di malattia professionale, viene in rilievo il D.lgs. n. 38/2000, che ha introdotto nell’assicurazione INAIL il riconoscimento del danno biologico. L’art. 13 di tale decreto definisce il danno biologico come “la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona” e ne disciplina l’indennizzo.

In particolare, per le menomazioni di grado pari o superiore al 16%, come nel caso in esame, è prevista l’erogazione di una rendita, il cui importo tiene conto sia del danno biologico che delle conseguenze patrimoniali della menomazione.

Infine, relativamente alle prestazioni ai superstiti, vengono in rilievo gli artt. 85 e 105 del D.P.R. 1124/1965. L’art. 85 individua i familiari aventi diritto alla rendita in caso di morte dell’assicurato, mentre l’art. 105 stabilisce che “le rendite ai superstiti decorrono dal giorno successivo a quello della morte“.

Quest’ultima disposizione è stata oggetto di interpretazione da parte della Cassazione con sentenza n. 8249/2011, la quale ha chiarito che si tratta di una “previsione di carattere speciale, che come tale deroga al principio di carattere generale della decorrenza delle prestazioni previdenziali dalla proposizione della relativa domanda“.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Torre Annunziata, dopo un’attenta valutazione degli elementi istruttori e del quadro normativo di riferimento, ha accolto le richieste dei ricorrenti, condannando l’INAIL al pagamento delle prestazioni rivendicate.

La decisione si fonda su due pilastri fondamentali: l’accertamento dell’esposizione del lavoratore all’amianto e il riconoscimento del nesso causale tra tale esposizione e la patologia che ha portato al decesso.

In primo luogo, il giudice ha ritenuto ampiamente provata l’esposizione all’amianto sulla base delle dettagliate testimonianze acquisite. Le deposizioni dei colleghi del de cuius hanno infatti fornito un quadro chiaro e concordante delle condizioni di lavoro a bordo delle navi, caratterizzate dalla presenza diffusa di amianto e dall’assenza di adeguate misure di protezione.

Particolarmente rilevante è stata considerata la descrizione delle mansioni svolte dal lavoratore in qualità di ufficiale e comandante, che comportavano un contatto quotidiano con materiali contenenti amianto in vari ambienti della nave.

Il secondo elemento cruciale della decisione è stato il riconoscimento del nesso causale tra l’esposizione professionale all’amianto e la patologia che ha portato al decesso del lavoratore. Su questo punto, il giudice ha fatto esplicito riferimento al principio enunciato dalla Cassazione con la sentenza n. 13024/2017, relativo alla presunzione legale di origine professionale per le malattie correlate all’amianto incluse nelle tabelle.

Applicando tale principio al caso concreto, il Tribunale ha ritenuto che, una volta accertata l’esposizione del lavoratore all’amianto, il nesso causale con la patologia tabellata dovesse ritenersi presunto, in assenza di prova contraria fornita dall’INAIL circa l’intervento di fattori extralavorativi dotati di efficacia esclusiva.

Sulla base di queste premesse, il giudice ha quindi riconosciuto il diritto dei ricorrenti alle prestazioni previdenziali richieste, articolando la condanna dell’INAIL su più fronti:

  1. Rendita per danno biologico: è stata riconosciuta una rendita correlata ad un’inabilità del 100%, da attribuirsi iure hereditario ai ricorrenti secondo le regole della successione legittima (1/3 al coniuge e 2/3 ai figli in parti uguali), con decorrenza dalla data della domanda amministrativa fino al decesso del lavoratore.
  2. Rendita ai superstiti: è stata riconosciuta al coniuge superstite con decorrenza dal giorno successivo al decesso, in applicazione dell’art. 105 del D.P.R. 1124/1965.
  3. Assegno funerario: ne è stato disposto il pagamento in favore degli eredi.

Il Tribunale ha inoltre condannato l’INAIL al pagamento delle spese processuali e di consulenza tecnica d’ufficio.

La sentenza in esame si caratterizza per un’applicazione rigorosa dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di malattie professionali correlate all’amianto, con particolare attenzione alla tutela dei lavoratori e dei loro familiari. Il giudice ha infatti dato piena attuazione alla presunzione legale di origine professionale, valorizzando al contempo gli elementi probatori acquisiti in ordine all’effettiva esposizione del lavoratore alla sostanza nociva.

La decisione si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che mira a garantire un’adeguata protezione previdenziale ai lavoratori vittime dell’amianto e ai loro familiari, tenendo conto delle peculiarità di queste patologie e delle difficoltà probatorie che spesso le caratterizzano.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

Di seguito si riporta un estratto significativo della motivazione della sentenza, che illustra il ragionamento seguito dal giudice nell’accertamento del nesso causale:

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