Addebito della separazione per violenze coniugali: sentenza Cassazione 2024

Addebito della separazione per violenze coniugali: sentenza Cassazione 2024

Nel panorama del diritto di famiglia, la Corte di Cassazione ha recentemente affrontato un caso emblematico che getta nuova luce sulla delicata questione dell’addebito della separazione coniugale. La sentenza del 2024 affronta il dilemma: possono le violenze domestiche giustificare l’addebito della separazione, anche in presenza di una presunta violazione dell’obbligo di fedeltà da parte del coniuge vittima? Il caso in esame solleva interrogativi cruciali sulla gerarchia delle violazioni dei doveri coniugali e sul peso specifico di condotte gravemente lesive della dignità personale nel contesto matrimoniale. La Suprema Corte, con una pronuncia destinata a fare scuola, offre una risposta che ridefinisce i parametri di valutazione in materia di addebito, ponendo l’accento sulla tutela della persona e sull’inaccettabilità di ogni forma di violenza all’interno della coppia.

Indice

ESPOSIZIONE DEI FATTI

Il caso portato all’attenzione della Corte di Cassazione trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, che aveva confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Cosenza. Quest’ultimo aveva pronunciato la separazione tra i coniugi A.A. e B.B., addebitandola al marito A.A. La sentenza disponeva inoltre l’affidamento esclusivo alla madre dei figli minori C.C. e D.D., lasciando ai minori la decisione di ripristinare eventualmente il rapporto con il padre, compatibilmente con lo stato di detenzione di quest’ultimo. Il Tribunale aveva inoltre stabilito a carico di A.A. l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli con una somma mensile di 400 euro (200 euro per ciascun figlio), oltre alla partecipazione al 50% delle spese straordinarie.

A.A. aveva impugnato la sentenza di appello davanti alla Cassazione, contestando l’addebito della separazione e la determinazione dell’assegno di mantenimento, in considerazione del suo stato di detenzione e dell’impossibilità di svolgere attività lavorativa.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La Corte di Cassazione, nel valutare il caso, ha fatto riferimento a consolidati principi giurisprudenziali in materia di addebito della separazione e di violazione dei doveri coniugali. In particolare, la Corte ha richiamato l’articolo 143 del Codice Civile, che stabilisce i diritti e doveri reciproci dei coniugi, e l’articolo 151 del Codice Civile, che disciplina la separazione giudiziale.

La Suprema Corte ha ribadito che, ai fini dell’addebito della separazione, è necessario accertare non solo la violazione dei doveri coniugali, ma anche il nesso causale tra tale violazione e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Tuttavia, la Corte ha sottolineato che le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri matrimoniali da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse.

La Cassazione ha inoltre richiamato precedenti sentenze, tra cui la n. 31351 del 2022 e la n. 3925 del 2018, che hanno stabilito che l’accertamento di tali violenze esime il giudice dal dover procedere a una comparazione con il comportamento del coniuge vittima, trattandosi di atti di estrema gravità comparabili solo con comportamenti omogenei.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i motivi di ricorso presentati da A.A.

In merito al primo motivo, relativo all’addebito della separazione, la Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che le violenze fisiche, verbali e sessuali perpetrate dal ricorrente nei confronti della moglie, alla presenza dei figli minori, costituissero condotte criminali plurime e continuate di carattere preminente e assorbente rispetto alla presunta violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della moglie. La Corte ha sottolineato che tali condotte, consapevolmente tese ad annientare la persona del coniuge, rendono irrilevante l’eventuale pregresso esaurirsi della comunione di vita, assumendo un carattere causativo dell’irreparabile fine del matrimonio.

Riguardo al secondo motivo di ricorso, concernente la sospensione degli obblighi di mantenimento in ragione dello stato di detenzione, la Corte ha chiarito che la condizione detentiva non esclude automaticamente la debenza dell’obbligo contributivo. Richiamando la giurisprudenza penale in materia, la Cassazione ha precisato che lo stato di detenzione può rilevare ai fini della verifica dell’elemento soggettivo del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ma non costituisce di per sé una causa di forza maggiore che giustifica l’inadempimento.

La decisione della Corte di Cassazione ribadisce dunque il principio secondo cui le violenze domestiche rappresentano una violazione grave e intollerabile dei doveri coniugali, tale da giustificare l’addebito della separazione indipendentemente da altre eventuali mancanze del coniuge vittima. Inoltre, la sentenza chiarisce che lo stato di detenzione non esonera automaticamente dagli obblighi di mantenimento, sottolineando la necessità di valutare caso per caso la possibilità dell’obbligato di adempiere, anche in regime detentivo.

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ESTRATTO DELLA SENTENZA

Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto. Invero, le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.

[…] Nella specie, alla luce della citata consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, l’affermato addebito della separazione è conforme ai principi e legittimato dal consumato reato di maltrattamenti da parte del ricorrente, nei confronti di B.B., condotta che non può trovare esimente nella ipotizzata (ed esclusa dal giudice di merito) violazione dell’obbligo di fedeltà realizzato anteriormente, non trattandosi di condotte bilanciabili, come motivato dalla Corte territoriale, per il prevalente ed assorbente disvalore della condotta violenta e prevaricatrice per quanto in ipotesi successiva rispetto alla ipotizzata violazione dell’obbligo di fedeltà.

[…] Il secondo motivo di ricorso è ugualmente infondato. Infatti, la giurisprudenza menzionata dalla Cassazione penale, con riferimento allo stato di detenzione, non esclude affatto la debenza dell’obbligo contributivo ma pone in discussione soltanto l’accertamento se tutto ciò comporti la scusabilità penale della condotta astrattamente criminosa. […] Anche la più recente pronuncia della Sez. 6 – , Sentenza n. 13144 del 01/03/2022 Ud. (dep. 06/04/2022) afferma che: “In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di detenzione dell’obbligato non può considerarsi causa di forza maggiore giustificativa dell’ inadempimento, in quanto la responsabilità per l’omessa prestazione non è esclusa dall’ indisponibilità dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell’obbligato, ma può rilevare ai fini della verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

(Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Ordinanza n. 12478/2024)

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