Il Tribunale di Civitavecchia si è pronunciato su un caso di responsabilità medica relativo alla gestione di un paziente affetto da sindrome di Stevens Johnson, una rara e grave patologia di natura allergico-immunitaria. La vicenda riguarda un uomo di 55 anni che, dopo aver manifestato difficoltà respiratorie e un vasto rush cutaneo con orticaria diffusa, si era recato presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Civitavecchia. Nonostante la diagnosi di sospetta sindrome di Stevens Johnson e il quadro clinico in peggioramento, il paziente venne trasferito al Policlinico Gemelli che, dopo alcune valutazioni, lo rimandò nuovamente a Civitavecchia senza disporne il ricovero. Il paziente, esausto dopo diversi trasferimenti, decise di tornare a casa. Solo dopo dieci giorni, a seguito di un grave peggioramento delle condizioni, venne finalmente ricoverato, ma ormai troppo tardi: il decorso della malattia portò al decesso per arresto cardiaco. Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità dell’ospedale per l’omesso ricovero, quantificando la perdita di chance di sopravvivenza nella misura del 25% e condannando la struttura al risarcimento sia del danno iure hereditatis che del danno da perdita del rapporto parentale in favore dei congiunti.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
Il caso prende avvio nel 2017, quando il paziente si presentava al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Civitavecchia lamentando difficoltà respiratorie e un vasto rush cutaneo con orticaria e prurito diffuso su tutto il corpo. I sanitari assegnavano correttamente un codice di priorità giallo, classificando il paziente come soggetto in condizioni di emergenza. Durante la permanenza in osservazione, venivano eseguiti esami ematochimici, radiografia del torace, ecografia addominale e consulenze specialistiche che evidenziavano un quadro di insufficienza renale acuta, eritema bolloso esteso, alterazione degli enzimi epatici e pancreatici, leucocitosi e indici di flogosi aumentati. Il 12 giugno, vista la gravità della situazione, i medici di Civitavecchia richiedevano il trasferimento al Policlinico Gemelli per “eritema diffuso grave con impegno multiorgano (sospetta S. Steven Johnson)“. Nonostante il Gemelli avesse inizialmente risposto di non avere competenza per il quesito diagnostico, il paziente venne comunque trasferito. Al Policlinico Gemelli, il paziente venne classificato sorprendentemente come codice verde (urgenza differibile) e, dopo alcune consulenze che confermavano la compatibilità con la sindrome di Stevens Johnson e prescrivevano una importante terapia cortisonica endovenosa, venne rinviato all’ospedale di Civitavecchia con ambulanza privata. Giunto nuovamente a Civitavecchia, il paziente, ormai esausto dopo ore di trasferimenti, decideva di tornare a casa. Durante i successivi dieci giorni di permanenza a domicilio, le sue condizioni si aggravavano significativamente. Il 23 giugno tornava al Pronto Soccorso di Civitavecchia con un evidente peggioramento della funzionalità renale, ma rifiutava il ricovero per recarsi direttamente al Gemelli. Solo il 24 giugno veniva finalmente ricoverato in nefrologia al Policlinico Gemelli, dove le sue condizioni continuavano a deteriorarsi fino al trasferimento in terapia intensiva il 30 giugno, dopo che anche l’ospedale Sant’Eugenio aveva negato la disponibilità di posti letto. Il paziente decedeva nel mese di luglio 2017 per arresto cardiaco.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il Tribunale ha inquadrato il caso nell’ambito della responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale sul contratto di spedalità. Come evidenziato dalla Suprema Corte, questo contratto atipico si perfeziona con la semplice accettazione del paziente nella struttura e comporta, oltre agli obblighi di tipo alberghiero, anche quelli relativi alle cure mediche, alla messa a disposizione di personale qualificato e all’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie. La responsabilità della struttura, disciplinata dall’art. 1218 c.c., può derivare sia dall’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, sia dall’operato dei sanitari quali ausiliari necessari ex art. 1228 c.c. Secondo l’orientamento consolidato della Cassazione (sentenze n. 13953/2007, n. 10616/2012 e n. 18610/2015), il paziente deve provare il contratto e l’aggravamento della situazione patologica, mentre spetta alla struttura dimostrare che l’inadempimento non è dipeso da causa a lei imputabile. Di particolare rilevanza è il richiamo alla più recente giurisprudenza (Cassazione n. 26851/2023 e n. 35998/2023) in materia di perdita di chance, che ha chiarito come tale pregiudizio vada distinto dal danno da perdita anticipata della vita. La Suprema Corte ha infatti precisato che quando la morte è effettivamente intervenuta, l’incertezza eventistica che caratterizza la chance viene meno, salvo il caso eccezionale in cui si accerti la seria possibilità che il paziente avrebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. Nel caso di specie, il Tribunale ha applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza sulla quantificazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, facendo riferimento alle nuove tabelle del Tribunale di Milano del 2022 che hanno introdotto un sistema a punti basato su parametri quali l’età della vittima, l’età del congiunto, la convivenza, la sopravvivenza di altri congiunti e l’intensità della relazione affettiva.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità del Policlinico Gemelli per l’omesso ricovero del paziente il 12 giugno 2017, rilevando come tale condotta abbia ridotto le chance di sopravvivenza del 25%.