Il Tribunale di Modena ha emesso una significativa sentenza in materia di responsabilità professionale medica, condannando un odontoiatra al risarcimento di oltre 13.000 euro per un caso di implantologia dentale eseguita in modo inadeguato. La vicenda riguarda un intervento di riabilitazione completa dell’arcata dentaria superiore effettuato tra il 2019 e il 2021, che ha causato gravi complicazioni alla paziente. La sentenza stabilisce un importante precedente nella valutazione della responsabilità professionale in ambito odontoiatrico, evidenziando come anche interventi apparentemente routinari possano comportare significative conseguenze se non eseguiti correttamente. I consulenti tecnici d’ufficio hanno riscontrato un “sostanziale fallimento dei trattamenti implantologici” dovuto al non corretto posizionamento degli impianti, sia per quanto riguarda la sede di applicazione che per la tecnica utilizzata. Questo ha portato allo sviluppo di una perimplantite conclamata e altri gravi problemi, richiedendo ulteriori interventi correttivi. La decisione del Tribunale include non solo il risarcimento dei danni biologici e delle spese mediche, ma anche la restituzione integrale dei compensi professionali versati al medico, stabilendo un importante principio in materia di tutela del paziente in caso di prestazioni sanitarie inadeguate.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda processuale trae origine da un intervento di implantologia dentale eseguito tra dicembre 2019 e luglio 2021. La paziente si era rivolta all’odontoiatra per ottenere una completa riabilitazione dell’arcata dentaria superiore. Il professionista aveva proceduto inizialmente all’estrazione di 5 denti superiori (28, 11, 21, 12 e 22), lasciando solo i due canini (13 e 23), che venivano successivamente rimossi. Prima di procedere alla fase implantologica, il medico aveva confezionato una protesi totale mobile che, tuttavia, risultava inutilizzabile dalla paziente in quanto le provocava persistenti conati di vomito, nonostante i tentativi di modifica. La situazione è degenerata con la comparsa di un ascesso nel secondo quadrante, che ha richiesto terapia antibiotica. L’insoddisfazione per il lavoro svolto ha portato la paziente a consultare un diverso specialista nel settembre 2021, il quale ha riscontrato l’esposizione di alcune viti tappo e della testa implantare, una perimplantite conclamata a carico dell’impianto in zona 2.6 e un ascesso in zona 1.6. Durante l’intervento di drenaggio del materiale purulento e toilette chirurgica del sito, è stata riscontrata la totale mancanza di osso sulla superficie vestibolare dell’impianto, evidenziando gravi carenze nella tecnica chirurgica utilizzata dal primo professionista. L’esame del cavo orale ha rivelato la presenza di quattro fixture emergenti dalla mucosa (15-12-23-25) ed una fixture sotto gengiva in zona 22, con una situazione clinica complessivamente compromessa che ha reso impossibile procedere con una protesizzazione definitiva.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il Tribunale di Modena ha fondato la propria decisione su un consolidato quadro normativo e giurisprudenziale in materia di responsabilità medica. In particolare, la sentenza richiama l’importante principio secondo cui l’atto illecito del sanitario è disciplinato dalle norme sulla responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 2229 del Codice Civile, seguendo la tesi della responsabilità da “contatto“. Questo orientamento, consolidato dalla Cassazione con sentenza n. 589 del 22/1/99, stabilisce che il perfezionamento della fattispecie contrattuale avviene nel momento in cui il paziente entra in contatto con la struttura sanitaria o con il medico e richiede la prestazione. Nel caso specifico, trattandosi di prestazioni odontoiatriche ambulatoriali, è stata pacificamente riconosciuta la sussistenza di un contratto d’opera intellettuale tra la paziente e il sanitario. La sentenza richiama inoltre importanti precedenti giurisprudenziali relativi al nesso di causalità tra la condotta omissiva del medico e l’evento dannoso, superando il criterio della certezza degli effetti della condotta omessa in favore di quello della probabilità e dell’idoneità della condotta stessa ad evitarli. In particolare, viene citata la fondamentale sentenza delle Sezioni Unite Penali n. 30328 dell’11/9/02, che ha stabilito la necessità di verificare la validità del nesso causale nel caso concreto sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile. La decisione si basa anche su consolidati principi in materia di onere della prova, ricordando che nelle cause di responsabilità professionale medica spetta al paziente dimostrare il nesso causale tra l’evento lesivo e la condotta del medico, mentre è onere del professionista provare di aver agito con la diligenza richiesta e che gli esiti negativi sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale, sulla base delle risultanze istruttorie e in particolare della consulenza tecnica d’ufficio, ha accertato la responsabilità professionale dell’odontoiatra, evidenziando il “sostanziale fallimento dei trattamenti implantologici” dovuto al non corretto posizionamento degli impianti. I consulenti hanno riscontrato specifici profili di negligenza professionale, individuando con chiarezza gli errori nella tecnica chirurgica e nel posizionamento degli impianti. Il danno biologico permanente è stato quantificato nella misura del 2%, riferibile all’inevitabile rimaneggiamento parodontale ed osteoalveolare, oltre alle conseguenze della rimozione degli impianti. È stato inoltre riconosciuto un periodo di inabilità temporanea parziale al 10% di 120 giorni, legato ai disagi subiti dalla paziente. La sentenza ha condannato il professionista a corrispondere un risarcimento complessivo di € 13.257,48, comprensivo di danno biologico (€ 2.553,74), spese mediche (€ 6.312,00), altre spese (€ 2.440,00), oltre a rivalutazione e interessi. Particolare rilevanza assume la decisione di ordinare anche la restituzione integrale dei compensi professionali versati al medico (€ 4.974,00), quale conseguenza della risoluzione del contratto per inadempimento. Il Tribunale ha inoltre condannato il convenuto al rimborso delle spese processuali, liquidate in € 2.921,00.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Sulla base della consulenza tecnica d’ufficio occorre procedere a trarre le logiche conseguenze di quanto rilevato, anche sul piano degli esiti complessivi sulla salute della paziente, ribadendo in sintesi che la prestazione del sanitario non è stata adeguata, oltre a non avere raggiunto il risultato promesso; va riconosciuto il nesso di causalità con quanto riscontrato, il che conduce agli esiti complessivi sulla salute della paziente, pure stimati dalla consulenza.