Diritto agli alimenti e stato di bisogno: la Cassazione conferma l’assegno alimentare alla figlia affetta da malattia invalidante – Corte di Cassazione 2024

La recente pronuncia della Corte di Cassazione affronta un tema di particolare rilevanza nell’ambito del diritto degli alimenti, concernente i presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno alimentare in favore del figlio maggiorenne. La vicenda processuale trae origine da una complessa situazione familiare, caratterizzata dalla presenza di una figlia affetta da una grave patologia invalidante, che ha determinato una significativa compromissione della sua capacità lavorativa. Il caso in esame ha offerto alla Suprema Corte l’opportunità di delineare con maggiore precisione i contorni dello stato di bisogno richiesto dall’art. 438 c.c. per l’accesso alla tutela alimentare, con particolare riferimento alla valutazione dell’impossibilità oggettiva di provvedere al proprio sostentamento. La sentenza si segnala per l’approfondita analisi dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto agli alimenti, ponendo l’accento sulla necessità di una valutazione complessiva della situazione dell’alimentando, che tenga conto non solo delle sue condizioni economiche ma anche delle concrete possibilità di procurarsi i mezzi necessari attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa. Di particolare interesse è l’interpretazione fornita dalla Corte circa il requisito della impossibilità di provvedere al proprio mantenimento, che viene ancorata a parametri oggettivi e verificabili, superando una concezione meramente soggettiva dello stato di bisogno. La pronuncia si inserisce nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale che richiede, ai fini del riconoscimento del diritto agli alimenti, la dimostrazione non solo delle difficoltà economiche dell’alimentando, ma anche della sua impossibilità di superarle attraverso l’impiego delle proprie capacità lavorative.

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Indice

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia giudiziaria trae origine dalla domanda di mantenimento proposta da B.B. nei confronti del padre A.A. Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 135/2022, pur rigettando la domanda di mantenimento, ha riconosciuto in favore della figlia il diritto alla percezione di un assegno alimentare di Euro 350,00 mensili, posto a carico del padre. La decisione è stata assunta sulla base di un’approfondita istruttoria, che ha evidenziato come la ricorrente fosse affetta da una patologia rara denominata “displasia neuronale viscerale”, con interessamento del tubo digerente e sintomatologia insorta nell’infanzia. Tale condizione patologica ha comportato, a partire dal 2013, la necessità di sottoporsi a numerosi interventi chirurgici e cure costanti. Nonostante la pregressa istruzione universitaria e una precedente attività lavorativa come traduttrice per alcune case editrici e privati, la situazione della figlia è significativamente peggiorata negli ultimi anni, determinando una condizione di ritiro sociale e l’impossibilità di mantenere un’occupazione stabile. La consulenza tecnica d’ufficio ha accertato una riduzione della capacità lavorativa generica del 67%, in rapporto ai quadri morbosi coesistenti. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 437/2023, ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo sussistente uno stato di bisogno dovuto all’impossibilità oggettiva di provvedere al proprio sostentamento. La pronuncia ha tenuto conto non solo delle gravi condizioni di salute della ricorrente, ma anche delle significative limitazioni che queste comportano nella sua vita quotidiana, impedendole di fatto di svolgere qualsiasi attività lavorativa continuativa.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il quadro normativo di riferimento si incentra principalmente sull’art. 438 c.c., che disciplina il diritto agli alimenti, stabilendo come presupposto fondamentale l’impossibilità per l’alimentando di provvedere al proprio sostentamento. La giurisprudenza di legittimità ha elaborato nel tempo una interpretazione rigorosa di tale disposizione, come evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 21572/2006, che ha cristallizzato il principio secondo cui il diritto agli alimenti è subordinato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa. Tale orientamento è stato ulteriormente precisato dalle successive pronunce della Suprema Corte (Cass. n. 11889/2015 e Cass. n. 33789/2022), le quali hanno specificato che lo stato di bisogno deve essere connotato da una oggettiva impossibilità di soddisfare i bisogni primari con proprie fonti o attingendo anche da una rete solidale, per quanto non giuridicamente vincolante. Di particolare rilievo è anche la sentenza n. 25248/2013, che ha stabilito la necessità di valutare le effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto. Il quadro normativo si completa con il riferimento all’art. 433 c.c., che individua i soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti secondo un ordine gerarchico, ponendo i genitori tra i primi obbligati. La giurisprudenza consolidata ha inoltre chiarito che l’onere probatorio gravante sull’alimentando comprende sia la dimostrazione dello stato di bisogno, sia l’impossibilità di farvi fronte mediante l’esercizio di un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini e condizioni sociali. Tale impossibilità deve essere valutata in termini oggettivi e non meramente soggettivi, dovendo l’alimentando dimostrare di non poter svolgere alcuna attività lavorativa per cause indipendenti dalla propria volontà.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte di Cassazione, nell’esaminare il ricorso, ha sviluppato un’articolata analisi dei motivi di impugnazione, confrontandosi con le questioni cruciali dello stato di bisogno e della capacità lavorativa dell’alimentanda. Il Collegio ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, chiarendo che la locuzione “incolpevole incapacità di provvedere al proprio sostentamento” utilizzata dalla Corte d’Appello non introduce un elemento soggettivo nella valutazione, ma si riferisce proprio all’impossibilità oggettiva prevista dall’art. 438 c.c. Di particolare rilevanza è l’analisi della condizione patologica dell’alimentanda, caratterizzata da una malattia rara che ha comportato, dal 2013, interventi chirurgici e cure costanti, determinando una situazione di grave compromissione psicofisica. La Corte ha valorizzato l’accertamento peritale che ha riscontrato una riduzione della capacità lavorativa generica del 67%, ma soprattutto ha evidenziato come tale condizione abbia determinato una situazione di oggettiva impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa continuativa. La decisione ha anche affrontato la questione delle disponibilità economiche dell’alimentanda, escludendo che l’aiuto fornito dallo zio materno potesse essere considerato rilevante ai fini dell’esclusione dello stato di bisogno, trattandosi di erogazioni soggette ad inevitabile erosione in assenza di redditi periodici. La Corte ha inoltre ritenuto congruo l’importo dell’assegno alimentare stabilito in Euro 350,00 mensili, tenuto conto dei redditi pensionistici del padre (circa Euro 2.000,00 mensili) e della sua situazione patrimoniale complessiva.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“La Corte rileva che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa, sicché, ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata. È stato altresì precisato che lo stato di bisogno deve essere connotato da una oggettiva impossibilità di soddisfare i bisogni primari con proprie fonti o attingendo anche da una rete solidale, per quanto non giuridicamente vincolante e però sostanzialmente fruibile e continuativa e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga. Nel caso di specie la Corte di merito, sulla scorta dell’accertamento peritale effettuato in primo grado e degli elementi probatori acquisiti, ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi, e, dopo aver dato conto delle complesse patologie fisiche da cui era affetta la controricorrente e della situazione anche psicologica in cui si trovava, ha affermato che la B.B. non era, allo stato, concretamente in grado di attivarsi per reperire e per mantenere una occupazione lavorativa, seppur astrattamente compatibile con la propria formazione universitaria e con le proprie condizioni e limitazioni fisiche.”

(Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Ordinanza n. 31555/2024)

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