La Corte d’Appello di Trieste riconosce il diritto al risarcimento del danno da perdita del partner anche al convivente more uxorio, ribaltando la decisione di primo grado nel 2024

Nel panorama giuridico italiano, la tutela delle relazioni affettive al di fuori del vincolo matrimoniale ha rappresentato per lungo tempo una zona grigia, soggetta a interpretazioni contrastanti e spesso penalizzanti per i partner non sposati. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Trieste del 2024 ha però segnato un importante passo avanti in questo ambito, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno da perdita del partner anche al convivente more uxorio, in un caso di incidente stradale mortale. La decisione solleva interrogativi cruciali: fino a che punto il nostro ordinamento è pronto a tutelare le unioni di fatto? E come si bilancia questa tutela con i diritti derivanti dal vincolo matrimoniale, quando quest’ultimo non è stato formalmente sciolto?

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

Il caso in esame prende le mosse da un tragico incidente stradale avvenuto il 15 ottobre 2013 a Trieste. Un motociclista, alla guida di un KTM 690 SMR, percorreva via Rossetti quando, giunto all’intersezione con via Ginnastica, entrava in collisione con un furgone condotto da un altro individuo. L’impatto risultava fatale per il motociclista.

In seguito a questo evento, una donna, che si qualificava come convivente della vittima, citava in giudizio la compagnia assicuratrice del furgone, il suo conducente e la società proprietaria del mezzo, chiedendo il risarcimento del danno da perdita del partner. La richiedente sosteneva di aver intrattenuto negli ultimi anni una relazione stabile e pubblica con la vittima, riconosciuta dalle rispettive famiglie e amici.

La compagnia assicuratrice, costituendosi in giudizio, contestava la ricostruzione dei fatti e evidenziava di aver già riconosciuto un importo di 60.000 euro alla moglie del defunto per il medesimo titolo. Veniva quindi chiamata in causa anche la moglie, la quale si costituiva affermando di essere l’unica legittimata a richiedere il risarcimento del danno da rottura del vincolo parentale, essendo ancora formalmente sposata con la vittima dal 1992 e non essendosi mai separata.

Il Tribunale di Trieste, in prima istanza, rigettava la domanda della convivente e condannava la compagnia assicuratrice e la società proprietaria del furgone a pagare in solido alla moglie, a titolo risarcitorio, la somma residua di 72.466,98 euro. Il giudice di primo grado, pur riconoscendo l’esistenza di una relazione extraconiugale seria e stabile tra la vittima e l’attrice, riteneva che la presenza di uno status coniugale formalmente pieno e non completamente quiescente ostasse alla tutela della posizione della convivente.

Contro questa decisione, sia la convivente che la moglie presentavano appello. La convivente contestava l’esclusione della sua legittimazione attiva come soggetto leso, mentre la moglie lamentava l’erroneo riconoscimento di un concorso di colpa nella misura del 30% a carico del defunto marito e la compensazione delle spese legali. La compagnia assicuratrice, a sua volta, presentava appello incidentale, sostenendo che il giudice di prime cure avesse erroneamente attribuito al motociclista un minor concorso di colpa.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il caso in esame tocca diversi punti nodali del diritto civile italiano, in particolare nell’ambito del diritto di famiglia e della responsabilità civile. Le norme e i precedenti giurisprudenziali rilevanti per la decisione della Corte d’Appello di Trieste sono molteplici e meritano un’analisi approfondita.

In primo luogo, la Corte si è trovata a dover interpretare e applicare gli articoli 2043 e 2059 del Codice Civile, che disciplinano rispettivamente il risarcimento per fatto illecito e il risarcimento del danno non patrimoniale. Questi articoli costituiscono la base normativa per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da perdita del partner, sia per il coniuge che per il convivente more uxorio.

Un punto cruciale della sentenza riguarda l’interpretazione dell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. La Corte ha richiamato la giurisprudenza consolidata della Cassazione che, sulla base di questo articolo, ha riconosciuto la tutela risarcitoria anche alle convivenze di fatto, purché caratterizzate da stabilità e da una significativa comunanza di vita e di affetti.

La Corte ha fatto riferimento a diverse sentenze della Cassazione che hanno progressivamente ampliato la tutela delle convivenze more uxorio. In particolare, sono state citate:

  • Cassazione 07/06/2011 n. 12278, che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno al convivente more uxorio, richiedendo la prova dell’esistenza di una comunanza di vita e affetti e di una vicendevole assistenza morale e materiale.
  • Cassazione 21/03/2013 n. 7128, che ha affermato come il pregiudizio recato al rapporto di convivenza integri di per sé un danno risarcibile ex art. 2059 c.c., in quanto lesivo di un interesse della persona costituzionalmente rilevante.
  • Cassazione 13/04/2018 n. 9178, che ha ribadito la risarcibilità del danno da lesione del rapporto di convivenza, anche in assenza di coabitazione.

La Corte ha anche dovuto confrontarsi con la Legge n. 76/2016 sulle unioni civili e le convivenze di fatto, pur riconoscendo che tale normativa è posteriore all’incidente oggetto della causa. Ha tuttavia sottolineato come questa legge abbia in parte codificato principi già esistenti nell’ordinamento e riconosciuti dalla giurisprudenza.

Per quanto riguarda la dinamica dell’incidente, la Corte ha fatto riferimento all’articolo 154, comma 1, del Codice della Strada, che impone ai conducenti di assicurarsi di poter effettuare manovre senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada.

Infine, per la quantificazione del danno, la Corte ha utilizzato le Tabelle di Milano del 28/06/2022, che forniscono parametri di riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione all’integrità psico-fisica e dalla perdita del rapporto parentale.

Questa complessa rete di norme e precedenti ha fornito alla Corte d’Appello gli strumenti per bilanciare i diritti del coniuge e del convivente more uxorio, giungendo a una decisione che segna un importante passo avanti nella tutela delle relazioni affettive al di fuori del vincolo matrimoniale.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte d’Appello di Trieste, con una sentenza che segna un importante punto di svolta nella giurisprudenza italiana in materia di tutela delle convivenze di fatto, ha accolto parzialmente l’appello della convivente more uxorio, riconoscendole il diritto al risarcimento del danno per la perdita del partner.

La decisione della Corte si articola su diversi piani di analisi, affrontando sia questioni procedurali che sostanziali.

In primo luogo, la Corte ha confermato la ricostruzione della dinamica dell’incidente effettuata in primo grado, mantenendo la ripartizione della responsabilità che vedeva un concorso di colpa del 30% a carico del motociclista deceduto. Questa decisione è stata basata su una valutazione attenta delle prove documentali e testimoniali, nonché sulla perizia tecnica effettuata in sede penale. La Corte ha ritenuto che, sebbene il conducente del furgone avesse la responsabilità principale per non aver segnalato adeguatamente la manovra di svolta, anche il motociclista avesse contribuito all’incidente tentando un sorpasso imprudente.

Il punto centrale e innovativo della sentenza riguarda però il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in capo alla convivente more uxorio. La Corte ha criticato la decisione di primo grado, affermando che una volta accertata la serietà e la stabilità della relazione tra la convivente e la vittima, non si poteva negare il diritto al risarcimento solo sulla base dell’esistenza di un vincolo matrimoniale formale con un’altra persona.

La Corte ha sottolineato che ciò che conta ai fini del risarcimento del danno non è l’esistenza di un “contratto di convivenza“, ma un legame affettivo stabile. Ha inoltre respinto l’argomento secondo cui al risarcimento osterebbero limiti di ordine pubblico costituzionale fondati sulla tutela del matrimonio, richiamando la giurisprudenza della Cassazione che ha riconosciuto la risarcibilità del danno al rapporto di convivenza come lesione di un interesse della persona costituzionalmente rilevante ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.

Tuttavia, la Corte ha anche adottato un approccio equilibrato nella quantificazione del danno. Ha ritenuto ingiustificata la richiesta di risarcimento avanzata dalla convivente, pari al massimo previsto dalle Tabelle di Milano per la perdita del coniuge. Nel determinare l’entità del risarcimento, la Corte ha considerato vari fattori, tra cui la durata relativamente breve della relazione (due anni), il fatto che la vittima non avesse completamente reciso i rapporti con la moglie, e l’età e la situazione personale della convivente al momento dell’inizio della relazione.

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