Il decesso per infezione nosocomiale: la Corte d’Appello di Ancona riconosce la responsabilità della struttura ospedaliera (Corte d’Appello di Ancona, 2024)

La responsabilità delle strutture sanitarie per le infezioni nosocomiali rappresenta una questione di grande rilevanza e attualità nel panorama giuridico italiano. Il caso esaminato dalla Corte d’Appello di Ancona nel 2024 offre importanti spunti di riflessione su questo tema, affrontando in particolare il delicato problema del nesso causale tra l’infezione contratta in ospedale e il successivo decesso del paziente. Quali sono i criteri per accertare la responsabilità della struttura? E come si valuta l’eventuale interruzione del nesso eziologico ad opera di terzi? La sentenza in esame fornisce risposte illuminanti a questi quesiti, delineando principi di notevole interesse per gli operatori del diritto.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

  • INTRODUZIONE
  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda giudiziaria trae origine dal decesso di un paziente avvenuto il 3 ottobre 2015 presso una struttura ospedaliera di Ancona, a seguito di un’infezione contratta nell’ambito ospedaliero e non tempestivamente diagnosticata né efficacemente trattata.

I fatti risalgono all’agosto 2014, quando il paziente venne sottoposto ad un primo intervento chirurgico per problemi cardiologici presso l’ospedale di Ancona. Successivamente, il 12 novembre 2014, fu nuovamente operato nella stessa struttura per la sostituzione della valvola aortica e la correzione di un aneurisma dell’aorta ascendente.

Dopo la dimissione, avvenuta il 20 novembre, il paziente fu trasferito presso una casa di cura per la riabilitazione. Durante la degenza in questa seconda struttura, il 25 novembre venne rilevata un’infezione da Staphylococcus epidermidis. Nonostante ciò, il 20 dicembre il paziente fu dimesso con terapia domiciliare.

Le sue condizioni non migliorarono e nell’aprile 2015 fu necessario un nuovo ricovero, prima presso l’ospedale di San Benedetto del Tronto, poi nuovamente ad Ancona. In questa sede venne accertata un’endocardite batterica su protesi aortica biologica. Sottoposto ad un ulteriore intervento chirurgico, il paziente purtroppo decedeva il 3 ottobre 2015.

La moglie e la figlia del defunto citarono in giudizio le strutture sanitarie coinvolte, ritenendole responsabili del decesso a causa della contrazione dell’infezione nosocomiale e della sua mancata tempestiva diagnosi e cura. Chiesero il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

In primo grado, il Tribunale di Ascoli Piceno accertò la responsabilità dell’ospedale di Ancona per la contrazione dell’infezione nosocomiale, ma escluse il nesso causale con il decesso, ritenendo che la condotta colposa dei sanitari della casa di cura di riabilitazione avesse interrotto il nesso eziologico. Per tale motivo, rigettò la domanda risarcitoria.

Le attrici proposero appello avverso tale sentenza, mentre l’azienda ospedaliera presentò appello incidentale contro l’accertamento della sua responsabilità per l’infezione. La Corte d’Appello di Ancona è stata quindi chiamata a riesaminare la vicenda, con particolare riferimento alla sussistenza del nesso causale tra l’infezione contratta in ospedale e il decesso del paziente.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La sentenza in esame si inserisce nel filone giurisprudenziale relativo alla responsabilità delle strutture sanitarie per le infezioni nosocomiali, applicando e sviluppando principi consolidati in materia di nesso di causalità.

In primo luogo, viene in rilievo l’art. 1218 del codice civile sulla responsabilità del debitore per inadempimento. Nel caso di specie, la responsabilità della struttura ospedaliera viene qualificata come contrattuale, in base al c.d. “contratto di spedalità” che si instaura tra paziente e ospedale al momento del ricovero.

Fondamentale è poi il richiamo all’art. 40 del codice penale sul rapporto di causalità, secondo cui “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione“. Tale principio, pur dettato in ambito penale, viene applicato anche in sede civile per l’accertamento del nesso eziologico.

La Corte richiama inoltre l’art. 41 c.p., che al secondo comma prevede l’interruzione del nesso causale in presenza di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento. Si tratta di un principio cardine in tema di causalità, ampiamente sviluppato dalla giurisprudenza.

Quanto ai precedenti giurisprudenziali, la sentenza fa riferimento a numerose pronunce della Cassazione che hanno delineato i criteri per l’accertamento del nesso causale in ambito civile. In particolare, viene richiamata Cass. n. 7760/2020, che ha ribadito come tale accertamento debba basarsi sul criterio del “più probabile che non“, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica da verificare sulla base degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto.

Di grande rilievo è poi il richiamo a Cass. n. 8778/2024, che ha affrontato proprio il tema dell’interruzione del nesso causale ad opera di terzi. La Suprema Corte ha chiarito che, in presenza di più fatti imputabili a soggetti diversi, deve essere riconosciuta a tutti un’efficacia causativa del danno, a meno che uno di essi non si ponga come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, interrompendo il nesso eziologico con gli altri fatti.

La sentenza cita inoltre Cass. n. 8429/2024, che ha evidenziato come il criterio dello scopo della norma violata costituisca un’integrazione della regola eziologica. In base a tale criterio, la responsabilità si estende solo agli eventi dannosi che siano realizzazione del rischio in considerazione del quale la condotta è vietata.

Infine, viene richiamata Cass. n. 8096/2006 sui criteri per individuare il fatto interruttivo del nesso causale, che si risolve in un criterio di imputazione del danno basato sull’atipicità ed eccezionalità della serie causale sopravvenuta.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte d’Appello di Ancona ha accolto l’appello principale proposto dalle congiunte del paziente deceduto, riformando la sentenza di primo grado e riconoscendo la responsabilità dell’azienda ospedaliera anche per l’evento morte.

In primo luogo, i giudici hanno confermato l’accertamento sulla natura nosocomiale dell’infezione e sulla sua riconducibilità a responsabilità dell’ospedale. Tale conclusione è stata raggiunta applicando tre criteri fondamentali:

  1. Il criterio temporale, essendo l’infezione stata diagnosticata poco dopo la dimissione dalla struttura;
  2. Il criterio topografico, essendo l’infezione insorta nel sito chirurgico interessato dall’intervento;
  3. Il criterio clinico, non avendo l’ospedale dimostrato l’effettiva applicazione dei protocolli di prevenzione nel caso specifico.

Il punto cruciale della decisione riguarda però il nesso causale tra l’infezione e il decesso del paziente. La Corte ha ritenuto erronea la valutazione del Tribunale, che aveva ravvisato un’interruzione del nesso eziologico ad opera della condotta colposa dei sanitari della casa di cura di riabilitazione.

Secondo i giudici d’appello, il comportamento di questi ultimi non ha innescato un percorso causale autonomo né ha rappresentato uno sviluppo anomalo e imprevedibile della condotta antecedente. Al contrario, esso si è inserito nel medesimo rischio specifico creato dall’infezione nosocomiale, costituendone un mero aggravamento.

La Corte ha evidenziato come sia rimasta invariata la “storia naturale della malattia“: l’ospedale ha generato l’infezione e la casa di cura ha omesso di diagnosticarla e curarla adeguatamente. In tale contesto, non può parlarsi di un “rischio nuovo“, necessario per interrompere il nesso causale.

I giudici hanno quindi enunciato un importante principio: il nesso causale tra fatto e danno sussiste se il danno costituisce la concretizzazione dello specifico rischio che quel fatto ha generato. Nel caso di specie, l’infezione contratta in ospedale ha creato proprio il rischio specifico di un suo aggravamento per mancata diagnosi e cura, poi effettivamente verificatosi.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha riconosciuto la responsabilità dell’azienda ospedaliera anche per l’evento morte del paziente, condannandola al risarcimento dei danni in favore della moglie e della figlia.

In particolare, è stato liquidato il danno biologico iure proprio solo in favore della figlia, avendo i consulenti tecnici accertato in capo a lei un disturbo da lutto complicato valutato nella misura del 6% di danno biologico permanente. Nulla è stato invece riconosciuto alla moglie sotto tale profilo, non essendo stata riscontrata una patologia psichica permanente.

Quanto al danno da perdita del rapporto parentale, esso è stato liquidato per entrambe le congiunte sulla base delle Tabelle di Milano 2014, tenendo conto di vari parametri quali l’età della vittima e dei familiari, la convivenza, il numero di componenti del nucleo familiare e l’intensità della relazione affettiva.

In definitiva, la sentenza della Corte d’Appello di Ancona offre un’importante conferma dei principi in materia di responsabilità sanitaria per infezioni nosocomiali, fornendo al contempo preziose indicazioni sui criteri di valutazione del nesso causale e della sua eventuale interruzione ad opera di terzi.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“Il principio che il Collegio trae da tali pronunce è che il nesso causale tra fatto e danno sussiste se il danno costituisce la concretizzazione dello specifico rischio che quel fatto ha generato. Un fatto crea un rischio specifico rispetto ad un evento quando ne rende probabile il verificarsi o quando aggrava apprezzabilmente il pericolo del suo verificarsi. In tal senso è evidente la differenza tra rischio specifico e semplice occasione di danno. Il rischio specifico individua una concatenazione causale di diretta attinenza tra il tipo di violazione commessa ed il tipo di danno prodotto mentre il rischio generico si connette a tutti possibili fatti della vita di relazione. […]

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